"METODO", N. 24/2008
 

IL REGNO DELLA VIRTù E IL GOVERNO DEI FILOSOFI

Nel 250° anniversario della nascita del grande ed immortale rivoluzionario francese

 

ANTOLOGIA ROBESPIERRANA

 

 

Maximilen Robespierre (1758-1794)

CONTRO LE NUOVE FAZIONI E I DEPUTATI CORROTTI

(l’ultimo discorso)

 

 

Discorso pronunciato alla Convenzione l’8 termidoro, anno II, 26 luglio 1794 (Oeuvres de Maximilien Robespierre, Société des études robespierristes, Parigi, 1961-1967, a cura, fra gli altri, di Marc Bouloiseau, Georges Lefebvre e Albert Soboul, v. X, pp. 561-576); il testo italiano è in Maximilien Robespierre, La rivoluzione giacobina, a cura di Umberto Cerroni, Roma, Editori Riuniti, 1984, pp. 211-225.

 

 

...Quel giorno (1) aveva gettato sulla Francia un’impressione profonda di calma, di gioia, di moderazione e di bontà. Nel vedere quella sublime riunione del primo popolo del mondo, chi mai avrebbe creduto che sulla terra esistesse ancora il crimine?

Ma quando il popolo – dinanzi a cui sparisce ogni vizio particolare – è rientrato al suo focolare domestico, riappaiono gli intriganti, e ricomincia il ruolo dei ciarlatani. È proprio dopo quell’epoca che li si è visti agitarsi con rinnovata audacia, nel tentar di punire tutti coloro che avevano sventato i complotti più pericolosi. Nel pieno dell’allegrezza pubblica, chi potrebbe mai credere che alcuni uomini abbiano risposto con segni di furore alle commoventi acclamazioni del popolo? Chi potrebbe mai credere che il presidente della Convenzione nazionale, mentre parlava al popolo riunito, fosse da loro insultato, e che quegli uomini erano dei rappresentanti del popolo?

Questo fatto spiega da solo tutto ciò che vi è stato in seguito. Il primo tentativo che effettuarono i malvagi fu di cercare di avvilire i grandi princìpi che voi avevate proclamato, e di cancellare il commovente ricordo della festa nazionale (2). Tale fu lo scopo dell’impronta e della solennità che venne data a quello che fu denominato il caso «Catherine Théot» (3). La malvagità ha saputo trarre buon partito dalla cospirazione politica celata sotto il nome di qualche devoto imbecille, e all’attenzione pubblica fu solo presentata una farsa mistica ed una fonte inesauribile di sarcasmi indecenti o puerili. Ma i veri congiurati sfuggirono, e si faceva risuonare Parigi e la Francia tutta del nome della «madre di Dio» [Catherine Théot, ndr]. Contemporaneamente si vide spuntare una moltitudine di libelli disgustosi, degni del Père Duchesne, il cui scopo era di avvilire la Con-venzione nazionale e il tribunale rivoluzionario, di riaprire le contese religiose, di iniziare una persecuzione tanto atroce quanto importuna contro gli spiriti deboli o crudeli, imbevuti di qualche ricordo superstizioso.

Infatti, in occasione di quella vicenda venne arrestata una grande moltitudine di cittadini pacifici, e persino di patrioti. Mentre i colpevoli cospirano ancora in libertà; poiché il piano è quello di risparmiarli, di tormentare il popolo e di moltiplicare i malcontenti.

E che cosa mai non si è fatto per raggiungere quello scopo? Predicazione aperta dell’ateismo, inopinate violenze contro il culto, angherie commesse nelle forme più indecenti, persecuzioni dirette contro il popolo con il pretesto di perseguire la superstizione; un sistema di carestia, causato prima dagli accaparramenti, poi dalla lotta suscitata contro ogni commercio lecito con il pretesto di perseguire gli accaparramenti; l’incarcerazione dei patrioti: tutto tendeva a quello scopo.

Contemporaneamente la tesoreria nazionale sospendeva i pagamenti; e con progetti machiavellici si riducevano alla disperazione i piccoli creditori dello Stato; per far loro sottoscrivere impegni rovinosi per i loro interessi veniva impiegata la violenza e l’astuzia, perfino in nome della legge che disapprova quella manovra. Veniva afferrata con avidità ogni occasione per vessare un cittadino, ed ogni vessazione veniva mascherata, com’è d’uso, dietro pretesti di pubblico bene.

Si serviva l’aristocrazia, ma la si inquietava; la si spaventava ad arte, per ingrossare il numero dei malcontenti e spingerla ad un qualche atto di disperazione contro il governo rivoluzionario. Si diceva pubblicamente che Hérault, Danton, Hébert erano state vittime del Comitato di salute pubblica e che occorreva vendicarli con la rovina di quel Comitato. Si volevano favorire i capi della forza armata; si perseguivano i magistrati della Comune e si parlava di richiamare Pache (4) alle funzioni di sindaco. E mentre alcuni rappresentanti del popolo tenevano pubblicamente quel linguaggio, mentre si sforzavano di persuadere i loro colleghi che potevano trovare scampo solo nella rovina dei membri del Comitato; mentre alcuni giurati del tribunale rivoluzionario, che avevano scandalosamente tramato in favore dei congiurati accusati dalla Convenzione, dicevano ovunque che occorreva resistere all’oppressione e che vi erano ventimila patrioti determinati a rovesciare l’attuale governo; ecco il linguaggio tenuto dai giornali stranieri – i quali, in tutti i momenti di crisi, hanno annunciato sempre fedelmente i complotti che stavano per essere eseguiti tra noi – i cui autori sembrano avere relazioni con i congiurati.

I criminali hanno bisogno di una sommossa. Perciò hanno riunito in quell’occasione, da ogni parte della Repubblica, tutti gli scellerati che la desolavano al tempo di Chaumette e di Hébert; quelli che voi avete ordinato, con vostro decreto, di far tradurre dinanzi al tribunale rivoluzionario.

Rendevano odioso il governo rivoluzionario per preparare la sua distruzione. Dopo avere emanato essi stessi tutti gli ordini ed averne diretto tutto il biasimo – con un sistema segreto e generale di calunnie – contro coloro che si voleva rovinare, si sarebbe dovuto distruggere il tribunale rivoluzionario oppure comporlo di congiurati, richiamare l’aristocrazia, offrire a tutti i nemici della patria l’impunità; e mostrare al popolo i suoi più zelanti difensori come gli autori di tutti i mali del passato. Se noi riusciremo – dicevano i congiurati – bisognerà poi contrapporci a questo stato di cose, usare una estrema indulgenza.

Questa è la parola d’ordine che tiene legata tutta la cospirazione.

Ma quali erano i crimini rinfacciati a Danton, a Fabre, a Desmoulins? Quelli di predicare la clemenza per i nemici della patria e di cospirare per assicurar loro un perdono fatale alla libertà. Che cosa si direbbe mai se gli autori del complotto di cui ho parlato fossero del numero di quelli che hanno condotto Danton, Fabre e Desmoulins al patibolo?

E che cosa facevano mai i primi congiurati? Hébert, Chaumette e Ronsin facevano di tutto per rendere insopportabile e ridicolo il governo rivoluzionario, mentre Camille Desmoulins lo attaccava con scritti satirici, e mentre Fabre e Danton intrigavano per difenderlo. Gli uni calunniavano, gli altri preparavano i pretesti per la calunnia.

Il medesimo sistema è oggi apertamente continuato. E per qual mai fatalità quelli che già declamarono contro Hébert difendono ora i suoi complici? Come mai quelli che si dichiaravano nemici di Danton sono ora divenuti i suoi imitatori? Come mai quelli che già accusarono pubblicamente alcuni membri della Convenzione si trovano ora alleati ad essi contro quei patrioti che si vuol rovinare?

In quali mani sono oggi l’esercito, le finanze e l’amministrazione interna della Repubblica? In quelle della coalizione che mi perseguita.

Tutti coloro che credono nei principi sono senza influenza alcuna; ma non è sufficiente per essi aver allontanato un sorvegliante incomodo, con grave danno per il bene pubblico (5); la sua sola esistenza è per essi un motivo di paura; ed avevano ordito nelle tenebre, all’insaputa dei loro colleghi, il progetto di strappargli, con la vita, il diritto di difendere il popolo.

Oh, la vita! L’abbandonerò a loro senza rimpianto! Ho l’esperienza del passato, ed intravedo l’avvenire. Quale amico della patria può mai voler sopravvivere nel momento in cui non gli è più permesso di servirla né di difendere l’innocenza oppressa? Perché mai vivere in un ordine di cose in cui l’intrigo trionfa continuamente sulla verità, in cui la giustizia è una menzogna, in cui le più vili passioni, in cui i timori più ridicoli occupano nei cuori il posto dei sacri interessi dell’umanità? Come fare a sopportare il supplizio di vedere questa ripugnante successione di traditori più o meno abili a nascondere il loro animo turpe sotto il velo della virtù, e perfino dell’amicizia, ma che lasceranno alla posterità solo l’imbarazzo di decidere quale tra i nemici del mio paese è il più vile e il più efferato?

Nel vedere la moltitudine dei vizi che il torrente della rivoluzione ha rotolato alla rinfusa assieme alle virtù civiche ho temuto talvolta, lo confesso, di venire macchiato – dinanzi agli occhi della posterità – dalla vicinanza impura degli uomini perversi che si mescolavano tra gli amici sinceri dell’umanità. E mi compiaccio nel vedere che il furore dei Verre e dei Catilina del mio paese sta tracciando una profonda linea di demarcazione tra essi e le persone oneste.

Ho visto che nella storia tutti i difensori della libertà sono stati oppressi dalla calunnia; ma anche i loro oppressori sono morti. I buoni ed i cattivi spariscono dalla terra: ma a condizioni ben differenti. Francesi, non dovete permettere che i vostri nemici osino demoralizzare il vostro animo ed indebolire le vostre virtù con la loro dottrina desolante. No, Chaumette, no, la morte non è affatto un sonno eterno (6). Cittadini, cancellate dalle tombe quella massima, incisa da mani sacrileghe, che getta un funebre velo sulla natura, che demoralizza l’innocenza oppressa, che insulta la morte: incidetevi piuttosto quest’altra: «La morte è l’inizio dell’immortalità».

Ho promesso già da qualche tempo di lasciare agli oppressori del popolo un testamento tremendo. Lo renderò pubblico fin da questo momento, con l’indipendenza adatta alla situazione in cui mi sono messo: lascio loro in eredità la terribile verità e la morte.

Rappresentanti del popolo francese, è tempo di assumere di nuovo la fierezza e la nobiltà di carattere che vi si confanno. Voi non siete fatti per essere guidati, ma per guidare i depositari della vostra fiducia. L’ossequio che essi vi devono non consiste in quelle vane adulazioni interessate o in quelle declamazioni servili che vengono prodigate ai re dai ministri ambiziosi, ma nella verità, e soprattutto nel profondo rispetto dei vostri princìpi.

Vi è stato detto che nella Repubblica tutto va bene: io lo nego. E perché mai quelli che avant’ieri vi predicavano tante terribili bufere, ieri non vedevano che nuvole leggere? Perché mai quelli che poco fa dicevano: «Vi dichiaro che noi camminiamo su due vulcani », oggi credono di camminare su delle rose? Ieri essi credevano alle cospirazioni: vi dichiaro che io ci credo in questo momento.

Quelli che vi dicono che l’instaurazione della Repubblica è impresa tanto facile vi ingannano; o piuttosto non possono ingannare nessuno. Dove sono mai le sagge istituzioni, dov’è mai il piano di rigenerazione che giustificherebbero quel linguaggio ambizioso? Ma ci si è forse anche soltanto occupati un istante di quel grande argomento? Che dico? Ma non si voleva forse proscrivere quelli che li avevano preparati? Oggi li lodano, perché si sentono più deboli di loro, per la stessa ragione li proscriveranno domani stesso, se diverranno più forti.

In quattro giorni – si dice – le ingiustizie saranno riparate: ma allora perché mai esse sono state commese impunemente per quattro mesi? E come si farà mai, in quattro giorni, a correggere o cacciare tutti gli autori dei nostri mali?

Vi si parla spesso delle vostre vittorie (7) con una tale enfasi accademica che farebbe credere che esse non siano costate ai nostri eroi né sangue né fatiche: se esse verranno raccontate cori meno pompa, appariranno più grandi. Non è con frasi retoriche né con gesta guerresche che soggiogheremo l’Europa, ma con la saggezza delle nostre leggi, con la maestà delle nostre deliberazioni e con la magnanimità del nostro carattere.

Che cosa si è fatto mai per volgere i nostri successi militari a vantaggio dei nostri princìpi, per prevenire i pericoli della vittoria o per assicurarne i frutti? Dovete sorvegliare la vittoria, sorvegliare quello che accade in Belgio. Vi avverto che il vostro decreto contro gli inglesi è stato continuamente violato (8); che l’Inghilterra, tanto maltrattata dai nostri discorsi, viene trattata con ogni riguardo dalle nostre armi. Vi avverto che le commedie filantropiche, interpretate da Dumouriez nel Belgio, si sono ripetute oggi; che ci si sta divertendo a piantare sterili alberi della libertà in un suolo nemico, invece di cogliere i frutti della vittoria; e che gli schiavi vinti vengono favoriti a spese della Repubblica vittoriosa. I nostri nemici si ritirano e ci lasciano ai nostri contrasti interni. Pensate a condurre a termine la campagna, temete le fazioni interne; temete gli intrighi favoriti dall’allontanamento in una terra straniera!

Si è seminato il dissenso tra i generali (9), viene protetta l’aristocrazia militare; i generali fedeli sono perseguitati; l’amministrazione militare si ammanta di una autorità sospetta, sono stati violati i vostri decreti per scuotere il giogo di una vigilanza necessaria. Queste verità valgon bene degli epigrammi.

La nostra situazione interna è ancora più critica. Deve essere ancora instaurato un ragionevole sistema finanziario. Chi oggi comanda è meschino, prodigo, imbroglione, vorace, e, di fatto, assolutamente indipendente dalla vostra suprema sorveglianza. Le relazioni esterne vengono assolutamente trascurate. Quasi tutti i funzionari impiegati presso le potenze straniere – screditati per il loro spirito antipatriottico – hanno tradito apertamente la Repubblica, con un’audacia rimasta fino ad oggi impunita.

Il governo rivoluzionario merita tutta la vostra sollecitudine: se lasciate che esso sia distrutto oggi, domani la libertà non ci sarà più. Non dovete calunniarlo, bensì richiamarlo ai suoi princìpi, semplificarlo, diminuire l’innumerevole folla dei suoi funzionari e soprattutto epurarli: bisogna dare la sicurezza al popolo, non già ai suoi nemici.

Non vi propongo certo di intralciare con nuove formalità la giustizia del popolo; la legge penale deve necessariamente aver qualcosa di vago, poiché – essendo la dissimulazione e l’ipocrisia i caratteri attuali dei cospiratori – occorre che la giustizia possa afferrarli sotto qualsiasi forma. Se fosse lasciata impunita anche una sola maniera di cospirare, sarebbe illusoria e compromessa la salvezza della patria.

La garanzia del patriottismo non è dunque nella lentezza e nella debolezza della giustizia nazionale; ma nei princìpi e nell’integrità di coloro ai quali essa è affidata, nella buona fede del governo, nella franca protezione che esso accorda ai patrioti, e nell’energia con la quale esso reprime l’aristocrazia; nello spirito pubblico, in alcune istituzioni morali e politiche, le quali, senza ostacolare il cammino della giustizia, offrano una salvaguardia ai buoni cittadini, contenendo le cattive passioni con la loro influenza sull’opinione pubblica e sulla direzione della marcia rivoluzionaria, e che verranno proposte quando le cospirazioni più imminenti permetteranno agli amici della libertà di respirare un po’.

Guidiamo dunque l’azione rivoluzionaria con massime di saggezza, costantemente mantenute; e puniamo severamente quelli che abusano dei princìpi della rivoluzione per vessare i cittadini; convinciamoci davvero che tutti quelli che sono incaricati della vigilanza nazionale, al di là di ogni spirito di parte, vogliano il trionfo del patriottismo e la punizione dei colpevoli.

Tutto rientri nell’ordine; ma se si intuisce che persone troppo influenti desiderano in segreto la distruzione del governo rivoluzionario, che inclinano all’indulgenza piuttosto che alla giustizia; se essi impiegano funzionari corrotti, se calunniano oggi la sola autorità capace di imporli ai nemici della libertà e si ritrattano l’indomani per poi intrigare di nuovo; se, invece di rendere la libertà ai patrioti, essi la rendono indistintamente ai cospiratori, ecco che allora tutti gli intriganti si alleano per calunniare i patrioti e li opprimono.

È a tutte queste cause che bisogna imputare gli abusi, e non al governo rivoluzionario; poiché non ve ne sarebbe mai uno che – alle stesse condizioni – non fosse insopportabile.

Il governo rivoluzionario ha salvato la patria; bisogna ora salvarlo da tutte le sue difficoltà: sarebbe un male concludere di doverlo distruggere, solo per il fatto che i nemici del pubblico bene l’hanno dapprima paralizzato, ed ora si sforzano di corromperlo. È una ben strana maniera di proteggere i patrioti, quella di mettere in libertà i controrivoluzionari e di far trionfare i furfanti! È solo il terrore verso i criminali che rende sicura l’innocenza.

Del resto, sono ben lungi dall’imputare gli abusi alla maggioranza di coloro cui avete dato la vostra fiducia; la maggioranza stessa è paralizzata e tradita; l’intrigo e lo straniero trionfano.

Ci si nasconde, si dissimula, si inganna: dunque, si cospira. Prima si era audaci, si meditava un grande atto di oppressione; ci si circondava della forza per reprimere l’opinione pubblica, dopo averla irritata. Ora invece si cerca di sedurre i pubblici funzionari di cui si teme la fedeltà; si perseguitano gli amici della libertà: dunque si cospira.

Si diviene d’un tratto docili e perfino adulatori; si seminano segretamente pericolose insinuazioni contro Parigi; si cerca di addormentare l’opinione pubblica; si calunnia il popolo; si considera un crimine la sollecitudine civica; non si rifiutano disertori, prigionieri nemici, controrivoluzionari d’ogni specie che si raccolgono a Parigi, mentre se ne tengono lontani i cannonieri; si disarmano i cittadini, si intriga nell’esercito; si cerca di impadronirsi di tutto: dunque si cospira.

In questi ultimi giorni si cercò di ingannarvi sulla cospirazione; oggi la si nega; credervi è perfino giudicato un crimine. Vi si spaventa e vi si rassicura alternativamente. Eccola, la vera cospirazione!

La controrivoluzione è nell’amministrazione delle finanze.

Essa poggia per intero su un sistema di innovazioni controrivoluzionarie, mascherate all’esterno dal patriottismo. Essa ha per scopo di fomentare l’aggiotaggio, di sconvolgere il credito pubblico disonorando la lealtà francese, di favorirei creditori ricchi, di rovinare e di ridurre alla disperazione quelli poveri, di moltiplicare i malcontenti, di spogliare il popolo dei beni nazionali, e di condurci insensibilmente alla rovina della fortuna pubblica.

Chi sono i supremi amministratori delle nostre finanze? Brissotini, foglianti, aristocratici e furfanti ben noti: sono i Cambon, i Mallarmé, i Ramel (10); sono i compagni e i successori di Chabot, di Fabre e di Julien (di Tolosa) (11).

Per mascherare i loro criminosi disegni hanno pensato negli ultimi tempi di operare attraverso il Comitato di salute pubblica, perché si era certi che quel Comitato, distratto da lavori tanto importanti, avrebbe adottato con piena fiducia, come talvolta è accaduto, tutti i progetti di Cambon. È un nuovo stratagemma immaginato per moltiplicare i nemici del Comitato, la cui rovina costituisce lo scopo principale di tutte le cospirazioni.

La tesoreria nazionale, diretta da un ipocrita controrivoluzionario, chiamato Lhermina, asseconda perfettamente i loro punti di vista adottando il piano di porre ostacoli a tutte le spese urgenti, con il pretesto di uno scrupoloso attaccamento alle forme; di non pagare nessuno, tranne gli aristocratici; e di vessare i cittadini poveri con dinieghi, con ritardi e spesso con odiose provocazioni.

La controrivoluzione è in tutti i settori dell’economia pubblica. I cospiratori ci hanno trascinato, nostro malgrado, a misure drastiche, rese necessarie solo dai loro crimini, ed hanno ridotto la Repubblica alla più tremenda carestia, che l’avrebbe affamata senza il concorso degli avvenimenti più inattesi.

Il popolo si indignerà: ma si dirà che esso è una fazione; la fazione criminale continuerà ad esasperarlo: cercherà di dividere la Convenzione nazionale dal popolo. Infine, a forza di attentati, si spera di arrivare a torbidi, nei quali i congiurati faranno intervenire l’aristocrazia e tutti i loro complici per uccidere i patrioti e ristabilire la tirannia. Ecco una parte del piano della cospirazione.

E a chi bisogna imputare questi mali? A noi stessi, alla nostra fiacca debolezza verso il crimine, e al nostro colpevole abbandono dei princìpi da noi stessi proclamati.

Non inganniamoci: fondare una immensa Repubblica sulle basi della ragione e dell’uguaglianza, tener strette con un vigoroso legame tutte le parti di questo impero sconfinato non è un’impresa che possa essere compiuta dalla leggerezza: è il capolavoro della virtù e della ragione umana.

Ogni sorta di fazioni sorgono a schiere dal seno di una grande rivoluzione. Come reprimerle, se non sottomettere incessantemente tutte le passioni alla giustizia? Non avete altro garante della libertà che l’osservanza rigorosa dei princìpi e della morale universale, che avete proclamato. Se non è la ragione a regnare, bisogna pur che regnino il crimine e l’ambizione. Senza di essa, la vittoria non è che uno strumento di ambizione ed un pericolo per la stessa libertà: un fatale pretesto, di cui l’intrigo abusa per addormentare il patriottismo sui bordi del precipizio. Senza di essa, che cosa ci importa la stessa vittoria? La vittoria non fa che armare l’ambizione, assopire il patriottismo, ridestare l’orgoglio e scavare con le sue mani splendide la tomba della Repubblica. Che cosa ci importa mai che i nostri eserciti scaccino dinanzi a loro gli sgherri dei re, se indietreggiano dinanzi ai vizi dissolvitori della libertà pubblica? Che cosa ci importa di vincere i re, se poi siamo vinti dai vizi che conducono alla tirannia? Ora, che cosa abbiamo fatto contro di essi, da qualche tempo a questa parte? Abbiamo solo fissato dei prezzi elevati.

Che cosa non si è fatto, invece, per proteggerli tra noi? Che cosa abbiamo fatto noi, da qualche tempo, per distruggerli? Nulla, poiché essi alzano insolentemente la testa, e minacciano impunemente la virtù. Nulla, poiché il governo è indietreggiato dinanzi alle fazioni, ed esse trovano protettori tra i depositari dell’autorità pubblica. Attendiamoci quindi tutti i mali dal momento che abbiamo abbandonato a loro il comando.

Nella strada in cui siamo, arrestarsi prima del termine significa perire; e noi abbiamo vergognosamente retrocesso. Voi avete ordinato la punizione di alcuni scellerati, autori di tutti i mali; ma essi osano resistere alla giustizia nazionale e così si sacrificano loro i destini della patria e dell’umanità.

Aspettiamoci dunque tutte le calamità che possono trascinare con sé tutte le fazioni che si agitano impunemente. In mezzo a passioni così violente e ad un impero così vasto, i tiranni – i cui eserciti sono sì in fuga, ma non ancora circondati, ma non ancora sterminati – si ritirano per lasciarvi in preda ai contrasti che essi stessi suscitano, e ad un esercito di agenti criminali che non sapete neppur individuare.

Lasciate pure allentare un solo istante le redini della rivoluzione, e vedrete il dispotismo militare impadronirsene e il capo delle fazioni rovesciare la rappresentanza nazionale avvilita [evento puntualmente verificatosi con la presa di potere da parte di Napoleone, ndr].

Un secolo di guerre civili e di calamità desolerà la nostra patria e noi periremo per non aver voluto afferrare il momento segnato nella storia degli uomini per fondare la libertà; consegneremo la nostra patria ad un secolo di calamità e le maledizioni del popolo si indirizzeranno alla nostra memoria che dovrebbe essere cara al genere umano!

...Popolo, ricordati che se, nella Repubblica, la giustizia non regna con dominio assoluto e se quella parola non significa amore dell’uguaglianza e della patria, allora la libertà è solo un nome vano. Popolo, tu che sei temuto, adulato e disprezzato; tu, sovrano riconosciuto che sei trattato sempre come schiavo, ricordati che, ovunque la giustizia non regna, a regnare sono le passioni dei magistrati; e che il popolo ha allora solo cambiato le sue catene, non i suoi destini!

Ricordati che esiste nel tuo seno una lega di furfanti che lotta contro la virtù pubblica; che ha più influenza di te sui tuoi affari, che ti teme e ti adula quando sei in massa, ma ti proscrive individualmente nella persona di tutti i buoni cittadini.

Ricordati che, lungi dal sacrificare questo pugno di furfanti al tuo bene, i tuoi nemici vogliono sacrificare te a quel pugno di furfanti, che sono gli autori di tutti i nostri mali e i soli ostacoli alla pubblica prosperità.

Sappi che ogni uomo che si alzerà a difendere la causa e la morale pubblica sarà schiacciato dagli insulti e proscritto dai furfanti. Sappi che ogni amico della libertà sarà sempre posto in mezzo tra un dovere ed una calunnia; e che chi non potrà essere accusato di tradimento sarà accusato di ambizione; che l’influenza della probità e dei princìpi sarà posta a confronto con la forza della tirannia e con la violenza delle fazioni; che la tua fiducia e la tua stima saranno titoli di proscrizione per i tuoi amici; che il grido del patriottismo oppresso sarà chiamato grido di sedizione, e che, non osando attaccarti in massa, ti si proscriverà in privato nella persona di tutti i buoni cittadini, finché gli ambiziosi non avranno organizzato la loro tirannia. Tale è infatti il dominio dei tiranni armati contro di noi, tale è l’influenza della loro lega con tutti gli uomini corrotti, sempre pronti a servirli.

Così dunque, gli scellerati ci impongono la legge di tradire il popolo, a pena di essere chiamati traditori. Sottoscriveremo forse questa legge? No: difenderemo il popolo a rischio di venire considerati tali. Che essi corrano al patibolo per la strada del crimine e noi per quella della virtù.

Diremo che tutto va bene? Continueremo a lodare per abitudine o per pratica ciò che è male? Ma facendo così rovineremo la patria.

Oppure riveleremo gli abusi nascosti? Denunceremo i traditori? Ci diranno allora che sovvertiamo le autorità costituite; che vogliamo acquistare un’influenza personale a loro spese.

Che cosa faremo dunque? Il nostro dovere. Che cosa si può mai obiettare a colui che vuol dire la verità e che consente di morire per essa?

Diciamo dunque che esiste una cospirazione contro la libertà pubblica: che essa deve la sua forza ad una coalizione criminale che intriga perfino in seno alla Convenzione; che questa coalizione ha Complici nel Comitato di sicurezza generale e negli uffici di quel Comitato che essi dominano; che i nemici della Repubblica hanno opposto quel Comitato al Comitato di salute pubblica, ed hanno costituito in tal modo due governi; che anche alcuni membri del Comitato di salute pubblica entrano in questo compotto; e che la coalizione così formata cerca di rovinare i patrioti e la patria.

Qual è il rimedio a questo male? Punire i traditori, rinnovare gli uffici del Comitato di sicurezza generale, epurare quello stesso Comitato e subordinarlo al Comitato di salute pubblica; epurare lo stesso Comitato di salute pubblica; costituire l’unità del governo sotto l’autorità della Convenzione nazionale, che è il centro ed il giudice, e schiacciare così tutte le fazioni con il peso dell’autorità nazionale per innalzare sulle loro rovine il potere della giustizia e della libertà.

Questi sono i princìpi. Se è impossibile invocarli senza passare per un ambizioso, devo concludere allora che i princìpi sono proscritti e che la tirannia regna tra noi, ma non già che io debba tacerli: poiché, che cosa si può mai obiettare ad un uomo che ha ragione e sa morire per il suo paese?

Io sono fatto per combattere il crimine, non per governarlo. Non è ancor giunto il tempo in cui gli uomini onesti possono servire impunemente la patria. I difensori della libertà saranno sempre dei proscritti, finché la masnada dei furfanti dominerà.

 

 

Il testo integrale in francese è in: http://membres.lycos.fr/discours/8thermidor.htm

 

 

Note

 

(1) Allusione al giorno della grande festa dell’Essere supremo [20 pratile, anno II, 8 giugno 1794, ndr].Torna

(2) È dal giorno della festa dell’Essere supremo, infatti, che cominciò a mettersi in moto la congiura antirobespierrista dei termidoriani.Torna

(3) Catherine Théot screditava Robespierre narrando su di lui aneddoti di deliri mistici ed accusandolo di ambizioni dittatoriali.Torna

(4) Pache, sindaco di Parigi, dopo essere stato l’uomo di fiducia di Danton, si avvicinò ad Hébert. Lasciò l’incarico il 10 maggio 1794 e fu sostituito da Lescot-Fleuriot.Torna

(5) Robespierre, infatti, aveva cessato di partecipare ai lavori del comitato, già da molte settimane.Torna

(6) Chaumette e Fouché, nell’inaugurare la propaganda di scristianizzazione nella Nièvre, avevano fatto porre sopra l’ingresso del cimitero di Nevers questa iscrizione: «La morte è un sonno eterno».Torna

(7) IQuesta parte del discorso si indirizza essenzialmente a Carnot, e, più ancóra, a Barrère, il quale poi risponderà al discorso di Robespierre.Torna

(8) Si tratta del decreto dell’autunno 1793, che comminava la confisca di tutti i beni posseduti dagli inglesi in Francia.Torna

(9) Allusione alla rivalità esistente fra il generale Pichegru, sostenuto da Saint-Just, e il generale Hoche, sostenuto da Carnot.Torna

(10) Questo brano riguarda soprattutto Cambon, che poi risponderà. Ramel sarà ministro delle finanze nel Direttorio e proclamerà la famosa «bancarotta dei due terzi».Torna

(11) Tre dei convenzionali più compromessi nello scandalo della Compagnia delle Indie, alla fine del 1793.Torna