IL REGNO DELLA VIRTù E IL GOVERNO DEI FILOSOFI
Nel 250° anniversario della nascita del grande ed immortale rivoluzionario francese
Maximilen Robespierre (1758-1794)
SULLA PROPRIETà. SEGUìTO DAL PROGETTO DI DICHIARAZIONE
DEI DIRITTI DELL’UOMO e del cittadino
Discorso pronunciato alla Convenzione il 24 aprile 1793 (Oeuvres de Maximilien Robespierre, Société des études robespierristes, Parigi, 1961-1967, a cura, fra gli altri, di Marc Bouloiseau, Georges Lefebvre e Albert Soboul, v. IX, pp. 459-469); il testo italiano è in Maximilien Robespierre, La rivoluzione giacobina, a cura di Umberto Cerroni, Roma, Editori Riuniti, 1984, pp. 118-126.
Nell’ultima seduta ho chiesto la parola per proporre alcuni importanti articoli aggiuntivi, che si riferiscono alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.
Vi proporrò innanzitutto alcuni articoli necessari per completare la vostra teoria sulla proprietà.
Che questa parola non metta in allarme nessuno. Anime vili, che stimate soltanto l’oro, non intendo affatto intaccare i vostri tesori, anche se la loro fonte è impura! Voi dovete ben sapere che questa legge agraria, di cui avete tanto parlato, è solo un fantasma creato dai briganti per spaventare gli imbecilli; senza dubbio non c’era bisogno di una rivoluzione per insegnare al mondo che l’estrema sproporzione delle fortune è la fonte di molti mali e di molti crimini; tuttavia siamo convinti che l’uguaglianza dei beni è una chimera.
Per me, la ritengo ancor meno necessaria al benessere privato di quanto lo è al benessere pubblico. Si tratta ben più di rendere onorevole la povertà che non di proscrivere l’opulenza. La capanna di Fabrizio (1) non ha nulla da invidiare al palazzo di Crasso.
Per parte mia, preferirei essere uno dei figli di Aristide, allevato nel Pritaneo a spese della Repubblica, che non l’erede presuntivo di Serse, nato nel fango delle corti per occupare un trono decorato con l’avvilimento dei popoli e splendente per la miseria pubblica.
Poniamo dunque in buona fede i principi del diritto di proprietà: occorre farlo, tanto più che non vi è nessun aspetto di esso che i pregiudizi e i vizi degli uomini non abbiano cercato di avviluppare con nuvole più spesse.
Chiedete ad un mercante di carne umana che cos’è la proprietà; vi dirà, mostrandovi quella lunga bara che egli chiama nave, in cui ha incassato, e posto ai ferri, uomini che sembrano viventi: «Ecco le mie proprietà, le ho acquistate ad un tanto a testa».
Interrogate un gentiluomo, che ha terre e vassalli, o che ritiene sia crollato il mondo da quando non ne ha più; vi darà della proprietà idee press’a poco simili.
Interrogate gli augusti membri della dinastia capetingia: vi diranno che la più sacra di tutte le proprietà è, senza dubbio alcuno, il diritto ereditario – del quale hanno goduto in tutta l’antichità – di opprimere, di avvilire e di dissanguare legalmente e monarchicamente i venticinque milioni di persone che abitavano il territorio della Francia con il loro consenso.
Agli occhi di tutte quelle persone, la proprietà non poggia su alcun principio morale. E perché mai la vostra Dichiarazione dei diritti sembra presentare lo stesso errore? Nel definire la libertà il primo dei beni dell’uomo, il più sacro tra i diritti che derivano dalla natura, avete detto con ragione che essa aveva per limite i diritti degli altri. E perché mai, allora, non avete applicato questo principio alla proprietà, che è una istituzione sociale? Come se le leggi eterne della natura fossero meno inviolabili delle convenzioni degli uomini!
Avete moltiplicato gli articoli per assicurare la più grande libertà nell’esercizio della proprietà, e non avete detto una sola parola per determinarne il carattere legittimo; di modo che la vostra Dichiarazione sembrerebbe fatta non già per gli uomini, ma per i ricchi, per gli accaparratori, per gli speculatori e per i tiranni.
Vi propongo di correggere questi difetti con il consacrare le seguenti verità:
Art. 1 - La proprietà è il diritto di ogni cittadino di godere e di disporre della porzione di beni che gli è garantita dalla legge.
Art. 2 - Il diritto di proprietà è limitato, come tutti gli altri, dall’obbligo di rispettare i diritti altrui.
Art. 3 - Esso non può pregiudicare né la sicurezza, né la libertà, né l’esistenza, né la proprietà dei nostri simili.
Art. 4 - Ogni possesso, ogni traffico che viola questo principio è illecito ed immorale.
Voi parlate inoltre dell’imposta per stabilire il principio incontestabile che essa può emanare solo dalla volontà del popolo o dei suoi rappresentanti. Ma dimenticate una disposizione che l’interesse dell’umanità reclama: dimenticate di consacrare il principio dell’imposta progressiva.
Ora, in materia di pubblici tributi, vi è forse un principio più evidentemente riposto nella natura delle cose e nell’eterna giustizia di quello che impone ai cittadini l’obbligo di contribuire alle spese pubbliche progressivamente, secondo l’entità della propria fortuna, cioè secondo i vantaggi che essi ritraggono dalla società?
Vi propongo di sanzionarlo in un articolo concepito in questi termini:
«I cittadini, le cui rendite non eccedono ciò che è necessario alla loro sussistenza, devono essere dispensati dal contribuire alle spese pubbliche; gli altri devono sopportarle progressivamente, secondo l’entità della loro fortuna».
Il comitato ha inoltre assolutamente dimenticato di richiamare i doveri di fraternità che uniscono tutti gli uomini e tutte le nazioni e il loro diritto ad una mutua assistenza. Sembra che siano state ignorate le basi dell’eterna alleanza dei popoli contro i tiranni. Si direbbe che la vostra Dichiarazione sia stata fatta per un branco di creature umane recintato in un angolo del globo, e non per l’immensa famiglia a cui la natura ha dato la terra quale dominio e quale soggiorno.
Vi propongo di riempire questa lacuna con gli articoli seguenti. Essi non possono che conciliarvi la stima dei popoli: è vero che possono anche avere l’inconveniente di inimicarvi per sempre i re. Ma confesso che questo inconveniente non mi spaventa affatto; esso non spaventa coloro che non vogliono in nessun modo riconciliarsi con loro.
Ecco i miei quattro articoli:
Art. 1 - Gli uomini di tutti i paesi sono fratelli, ed i differenti popoli devono aiutarsi l’un l’altro, come i cittadini di un medesimo Stato.
Art. 2 - Colui che opprime una nazione si dichiara nemico di tutte.
Art. 3 - Coloro che fanno la guerra ad un popolo per arrestare i progressi della libertà ed annientare i diritti dell’uomo devono essere perseguiti dovunque, non già come nemici ordinari, ma come assassini e briganti ribelli.
Art. 4 - I re, gli aristocratici, i tiranni, quali che siano, sono schiavi insorti contro il sovrano della terra, che è il genere umano, e contro il legislatore dell’universo, che è la natura.
Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino
I rappresentanti del popolo francese, riuniti in Convenzione nazionale,
riconoscendo che le leggi umane le quali non derivano dalle leggi eterne della giustizia e della ragione sono solo attentati dell’ignoranza e del dispotismo contro l’umanità; convinti che la dimenticanza ed il disprezzo dei diritti naturali dell’uomo sono le uniche cause dei crimini e delle sventure del mondo,
hanno deciso di esporre, in una dichiarazione solenne, quei diritti sacri, inalienabili, affinché tutti i cittadini, avendo la possibilità di paragonare continuamente gli atti del governo con lo scopo di ogni istituzione sociale, non si lascino mai opprimere ed avvilire dalla tirannia; affinché il popolo abbia sempre dinanzi agli occhi le basi della sua libertà e della sua felicità, il magistrato le regole dei suoi doveri, e il legislatore l’oggetto della sua missione.
In conseguenza, la Convenzione nazionale proclama, di fronte al mondo intero, e sotto gli occhi dell’immortale legislatore, la seguente Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino:
Art. 1 - Lo scopo di ogni società politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo, e lo sviluppo di tutte le sue facoltà.
Art. 2 - I principali diritti dell’uomo sono di provvedere alla conservazione della propria esistenza e della propria libertà.
Art. 3 - Questi diritti appartengono in uguale misura a tutti gli uomini, quale che sia la differenza delle loro forze fisiche e morali.
L’uguaglianza dei diritti è stabilita dalla natura: la società, lungi dal portarle attentato, non fa che garantirla contro l’abuso della forza, che la rende illusoria.
Art. 4 - La libertà è il potere, che appartiene all’uomo, di esercitare – a suo piacimento – tutte le facoltà. Essa ha per regola la giustizia, per limite i diritti altrui, per princìpì la natura, e per salvaguardia la legge.
Il diritto di riunirsi pacificamente, il diritto di manifestare le proprie opinioni, sia per mezzo di stampa, sia in ogni altra maniera, sono conseguenze così necessarie della libertà dell’uomo, che la necessità di enunciarli suppone la presenza o il ricordo del dispotismo.
Art. 5 - La legge non può proibire se non ciò che è nocivo alla società: non può comandare se non ciò che è utile ad essa.
Art. 6 - Ogni legge che viola i diritti imprescrittibili. dell’uomo è essenzialmente ingiusta e tirannica: essa non è legge.
Art. 7 - La proprietà è il diritto di ogni cittadino di godere e di disporre della porzione dei beni che gli è garantita dalla legge.
Art. 8 - Il diritto di proprietà è limitato, come tutti gli altri, dall’obbligo di rispettare i diritti altrui.
Art. 9 - Esso non può recar pregiudizio né alla sicurezza, né alla libertà, né all’esistenza, né alla proprietà dei nostri simili.
Art. 10 - Ogni possesso, ogni traffico che viola questo principio è essenzialmente illecito ed immorale.
Art. 11 - La società è obbligata a provvedere alla sussistenza di tutti i membri, sia procurando loro un lavoro, sia assicurando i mezzi di esistenza a coloro che non sono in grado di lavorare.
Art. 12 - I soccorsi necessari all’indigenza sono un debito del ricco verso il povero; spetta alla legge determinare il modo in cui questo debito deve essere assolto.
Art. 13 - La società deve favorire con tutto il suo potere i progressi della coscienza pubblica e mettere l’istruzione alla portata di tutti i cittadini.
Art. 14 - La legge è l’espressione libera e solenne della volontà del popolo.
Art. 15 - Il popolo è il sovrano: il governo è opera sua e sua proprietà, i funzionari pubblici sono i suoi servitori.
Art. 16 - Nessuna porzione del popolo può esercitare il potere del popolo intero, ma il voto che essa esprime dev’essere rispettato come il voto di una porzione del popolo che deve concorrere a formare la volontà generale.
Ciascuna sezione del sovrano, riunita, deve godere del diritto di esprimere la sua volontà con piena libertà: essa è essenzialmente indipendente da tutte le autorità costituite e padrona di regolare la sua amministrazione e le sue deliberazioni.
Il popolo può, quando gli aggrada, cambiare il suo governo e revocare i suoi mandatari.
Art. 17 - La legge deve essere uguale per tutti.
Art. 18 - Tutti i cittadini sono ammissibili a tutte le cariche pubbliche, senza altra distinzione che quella delle virtù e dei talenti, senza altro titolo di quello della fiducia del popolo.
Art. 19 - Tutti i cittadini hanno un uguale diritto di concorrere alla nomina dei mandatari del popolo ed alla formazione della legge.
Art. 20 - Affinché questi diritti non siano illusori, e l’uguaglianza non sia chimerica, la società deve stipendiare i funzionari pubblici e fare in modo che i cittadini che vivono del proprio lavoro possano assistere alle pubbliche assemblee – a cui la legge li chiama – senza compromettere la propria esistenza né quella delle loro famiglie.
Art. 21 - Ogni cittadino deve obbedire religiosamente ai magistrati ed agli agenti del governo, quando essi sono gli organi o gli esecutori della legge.
Art. 22 - Ma ogni atto contro la libertà, contro lo sicurezza o contro la proprietà di un uomo, commesso da chiunque, anche se in nome della legge – al di fuori dei casi da essa stabiliti e delle forme da essa prescritte – è arbitrario e nullo; il rispetto stesso della legge proibisce di sottomettervisi e, se si vuole eseguirlo con la violenza, è permesso di respingerlo con la forza.
Art. 23 - Il diritto di presentare petizioni ai depositari della pubblica autorità appartiene ad ogni individuo. Quelli a cui esse sono indirizzate devono deliberare sui punti che ne sono l’oggetto, ma non possono mai interdirne, né restringerne o condannarne l’esercizio.
Art. 24 - La resistenza all’oppressione è la conseguenza degli altri diritti dell’uomo e del cittadino.
Vi è oppressione contro l’intero corpo sociale quando è oppresso anche uno solo dei suoi membri.
Vi è oppressione contro ciascun membro quando tutto il corpo sociale è oppresso.
Quando il governo opprime il popolo, l’insurrezione del popolo intero e di ciascuna porzione del popolo è il più santo tra tutti i doveri.
Quando ad un cittadino manca la garanzia sociale, è diritto naturale che egli si difenda da se stesso.
Nell’uno e nell’altro caso, assoggettare a forme legali la resistenza all’oppressione è l’ultima raffinatezza della tirannia.
Art. 25 - In ogni Stato libero la legge deve soprattutto difendere la libertà pubblica ed individuale contro l’abuso dell’autorità di coloro che governano.
Ogni istituzione che non considera il popolo come buono e il magistrato come corruttibile è difettosa.
Art. 26 - Le funzioni pubbliche non possono essere considerate come segni di distinzione, né come ricompense, ma come doveri pubblici. I delitti dei mandatari del popolo devono essere severamente ed agevolmente puniti. Nessuno ha il diritto di pretendersi più «inviolabile» degli altri cittadini. Il popolo ha il diritto di conoscere tutte le azioni dei suoi mandatari; essi devono dargli un rendiconto fedele della loro gestione ed assoggettarsi al suo giudizio con rispetto. Gli uomini di tutti i paesi sono fratelli, ed i diversi popoli devono aiutarsi l’un l’altro, per quanto possano, come i cittadini di uno stesso Stato.
Chi opprime una sola nazione si dichiara il nemico di tutte. Quelli che fanno la guerra ad un popolo, per arrestare i progressi della libertà ed annientare i diritti dell’uomo, devono essere perseguiti dovunque, non già come nemici ordinari, ma come assassini e briganti ribelli. I re, gli aristocratici, i tiranni, quali che siano, sono schiavi ribellatisi al sovrano della terra, che è il «genere umano», ed al legislatore dell’universo, che è la «natura».
Note
(1) Console romano, simbolo del magistrato incorruttibile.Torna