"METODO", N. 24/2008
 

IL REGNO DELLA VIRTù E IL GOVERNO DEI FILOSOFI

Nel 250° anniversario della nascita del grande ed immortale rivoluzionario francese

 

ANTOLOGIA ROBESPIERRANA

 

 

Maximilen Robespierre (1758-1794)

ESPOSIZIONE DEI MIEI PRINCìPI

 

 

Articolo pubblicato sul primo numero del giornale «Le Défenseur de la Constitution», Maggio 1792 (Oeuvres de Maximilien Robespierre, Société des études robespierristes, Parigi, 1961-1967, a cura, fra gli altri, di Marc Bouloiseau, Georges Lefebvre e Albert Soboul, v. IV, pp. 5-15); il testo italiano è in Maximilien Robespierre, La rivoluzione giacobina, a cura di Umberto Cerroni, Roma, Editori Riuniti, 1984, pp. 80-87.

 

 

È la Costituzione che voglio difendere, la Costituzione così com’essa è.

Mi hanno chiesto perché mai mi dichiaro difensore di un’opera della quale ho spesso posto in evidenza i difetti. Rispondo che, come membro dell’Assemblea costituente, mi sono opposto – per quanto era nella mia possibilità – a tutti quei decreti che l’opinione pubblica oggi proscrive; ma che, fin dal momento in cui l’atto costituzionale venne portato a termine e fu consolidato dall’adesione generale, mi sono sempre limitato a reclamarne l’esecuzione fedele.

Non ho fatto come quella setta politica, denominata «moderata» che di un tale atto invoca la formulazione letterale ed i difetti al solo scopo di annientarne lo spirito ed i princìpi. Non come la corte e gli ambiziosi che violano perennemente tutte le leggi favorevoli alla libertà ed eseguono con uno zelo ipocrita ed una fedeltà ossessiva tutte quelle di cui possono abusare per opprimere il patriottismo. Ma ho agito come un amico della patria e dell’umanità: convinto che la salvezza pubblica ci impone di metterci al riparo della Costituzione, per respingere gli assalti dell’ambizione e del dispotismo.

L’Assemblea costituente ha tenuto nelle sue mani il destino della Francia e del mondo intero. Essa avrebbe potuto innalzare il popolo francese al più alto grado di felicità, di gloria e di libertà: ed invece è rimasta ben al di sotto della sua sublime missione. Ha violato spesso gli eterni princìpi della giustizia e della ragione, che aveva solennemente proclamato.

I diritti delle nazioni e dell’umanità sono rimasti gli stessi; ma le circostanze sono mutate: e sono esse che devono determinare la natura dei mezzi che si possono impiegare per ristabilire i princìpi in tutta la loro estensione...

All’Assemblea legislativa non spetta affatto di modificare la Costituzione che essa ha giurato di mantenere. Ogni cambiamento fatto oggi non produrrebbe altro effetto che quello di mettere in allarme gli amici della libertà.

In mezzo alle tempeste suscitate da tante fazioni, alle quali si sono lasciati il tempo ed i mezzi per fortificarsi; in mezzo ai contrasti intestini perfidamente combinati con la guerra degli stranieri, fomentati dall’intrigo e dalla corruzione, favoriti dall’ignoranza, dall’egoismo e dall’avidità, è necessario per i buoni cittadini un punto di appoggio ed un segnale per riunificarsi.

Ed io non ne conosco altri, eccetto la Costituzione.

Ho del resto osservato che coloro i quali – durante lo svolgimento della prima Assemblea rappresentativa – furono accusati di esagerazione per aver difeso i diritti del popolo contro il despotismo e contro l’intrigo, erano proprio gli apostoli più zelanti della dottrina che io professo in questo momento.

Al contrario, proprio coloro che dimostravano il rigorismo più scrupoloso in materia di Costituzione per immolare la libertà alla corte, sono stati da me sorpresi a declamare, dopo qualche tempo, contro i difetti della Costituzione e contro l’Assemblea di cui essa è l’opera. Ed ho ascoltato la parola «repubblica» proprio da uomini che non seppero mai far altro che calunniare il popolo e combattere l’uguaglianza. Ho visto quelli che erano sempre restati al di fuori dei princìpi della nostra rivoluzione presentarci il miraggio di un governo più libero e perfetto.

La corte, tutti gli intriganti, tutti i capi delle fazioni cospirano simultaneamente contro la Costituzione perché hanno necessità di sconvolgere tutto per dividere impunemente tra loro le spoglie e la potenza della nazione. Nella crisi tempestosa in cui ci hanno condotto a forza di complotti e di perfidia vorrebbero che il patriottismo cominciasse a buttar giù con le proprie mani l’edificio costituzionale per costruire sulle sue rovine il dispotismo monarchico o una specie di governo aristocratico, il quale, mascherato dietro nomi seducenti, ci metterebbe catene più pesanti delle prime.

Dal momento in cui ho annunciato il proposito di combattere tutti i faziosi, ho visto persone – che fino a poco prima conservavano, ancora la fama di patrioti – dichiararmi una guerra più impegnata di quella che essi pretendono di fare ai despoti. Li ho visti escogitare tutti i mezzi, di cui certo non mancano mai da quando hanno messo la fortuna pubblica nelle mani dei loro amici e da quando partecipano sotto titoli differenti ad ogni specie di potere, per dipingermi in tutta la repubblica ora come un monarchico, ora come un tribuno ambizioso...

Sono repubblicano, e lo dichiaro: voglio difendere i princìpi di uguaglianza e lo sviluppo dei sacri diritti che la Costituzione garantisce al popolo contro i pericolosi sistemi degli intriganti che la vedono solamente come uno strumento della loro ambizione. E preferisco di gran lunga vedere un’assemblea rappresentativa popolare e dei cittadini liberi e rispettati con un re, piuttosto che un popolo schiavo ed avvilito sotto la verga di un senato aristocratico e di un dittatore.

Non preferisco certo un Cromwell ad un Carlo I, né il giogo dei decemviri mi sembra più sopportabile di quello dei Tarquini.

È forse nelle parole «repubblica» o «monarchia» che si trova la soluzione del grande problema sociale? Sono forse le definizioni inventate dai diplomatici per classificare le diverse forme di governo che fanno il bene o il male delle nazioni; oppure è la combinazione delle leggi e delle istituzioni che ne costituiscono la vera natura?

Tutte le Costituzioni politiche sono fatte per il popolo; mentre tutte quelle in cui esso non conta niente sono solamente attentati contro l’umanità!

E che cosa mi importa mai se sedicenti patrioti mi presentano la prospettiva futura di insanguinare la Francia per disfarci della monarchia, se essi non vogliono poi stabilire su ciò che resta la sovranità nazionale e l’uguaglianza civile e politica? Che cosa mi importa mai che ci si scagli contro i fasti della corte, se, ben lungi dal reprimerli, li si tollera e li si incoraggia continuamente per poterne poi approfittare? Che cosa mi importa mai che tutti riconoscano i difetti della Costituzione per quanto riguarda l’estensione del potere reale, se poi si soffoca il diritto di petizione; se si attenta alla libertà individuale, alla stessa libertà delle opinioni; se contro un popolo allarmato si lascia scatenare una barbarie che contrasta con l’eterna impunità dei grandi cospiratori; se non si cessa di perseguitare e di calunniare tutti coloro che hanno sempre difeso la causa della nazione contro le imprese della corte e di tutti i partiti?

Che cosa ci interessa mai se a più riprese si rinnova la notizia di una prossima partenza del re, come per sondare gli spiriti ed adulare i patrioti imprudenti con una dannosa illusione?

Il re non è forse già fuggito, un anno fa, in un momento che sembrava il più favorevole per la libertà, in un periodo in cui la Francia non era in preda alle divisioni che la tormentano e non aveva da sostenere una guerra da parte dello straniero?

Ebbene, questo avvenimento è tornato a profitto del popolo oppure del dispotismo? E non sono forse di quel periodo i decreti disastrosi che hanno mutilato la nostra Costituzione?

Non fu forse allora che il sangue dei cittadini disarmati colò sotto i colpi della proscrizione?

E non fu forse nel periodo in cui l’autorità del re era sospesa e il sovrano era affidato alla guardia di La Fayette, che la coalizione di cui quest’ultimo era il capo restituì al monarca un’autorità immensa, patteggiando con lui a spese della nazione, e in favore degli ambiziosi che avevano ordito quella trama e fatto pesare in suo nome un giogo di ferro sopra tutti i patrioti dell’Impero?

E voi, che cosa facevate mai, a quel tempo, Brissot? E voi Condorcet? Perché mi riferisco proprio a voi ed ai vostri amici!

Mentre noi discutevamo all’Assemblea costituente il grande problema se Luigi XVI fosse o meno al di sopra delle leggi, mentre, rinchiuso in questi limiti, io mi accontentavo di difendere i princìpi della libertà senza proporre nessun’altra questione estranea e pericolosa; ma non per questo sfuggivo alle calunnie della fazione di cui parlo: voi, sia per imprudenza, sia per altre ragioni, assecondavate con tutte le vostre forze i suoi sinistri progetti.

Conosciuti fino a quel momento per i vostri rapporti con La Fayette e per la vostra grande «moderazione»; per lungo tempo assidui seguaci di un club mezzo democratico (la Società del 1789) voi facevate risuonare all’improvviso la parola «repubblica»; Condorcet pubblica un trattato sulla «repubblica», i cui princìpi – bisogna riconoscerlo – erano meno popolari di quelli della nostra attuale Costituzione; Brissot mette in circolazione un giornale intitolato Il Repubblicano, che di popolare aveva solamente il titolo, mentre contemporaneamente un manifesto dello stesso tenore, redatto dallo stesso partito, sotto il nome dell’ex marchese Duchâtelet parente di La Fayette, amico di Brissot e di Condorcet, appare su tutti i muri della capitale.

Allora, tutti gli animi erano in fermento. La sola parola «repubblica» gettò la discordia in mezzo ai patrioti e diede ai nemici della libertà il pretesto che essi cercavano per divulgare che esisteva in Francia un partito che cospirava contro la monarchia e contro la Costituzione. Essi si affrettarono ad imputare a questo motivo la fermezza con la quale noi difendevamo all’Assemblea costituente i diritti della sovranità nazionale contro la mostruosità dell’inviolabilità regale.

È con quella parola che essi indussero in errore la maggioranza dell’Assemblea costituente; e fu quella parola ad essere ìl segnale della carneficina dei pacifici cittadini immolati sull’altare della patria, il cui solo crimine era di esercitare legalmente il diritto di petizione consacrato dalle leggi costituzionali.

A quel titolo, i veri amici della libertà furono mutati in fazioni dai cittadini perversi od ignoranti: e così la rivoluzione indietreggiò, forse di un secolo.

E bisogna dire tutto: fu sempre in quel periodo che Brissot venne alla società degli Amici della Costituzione, dove non si era quasi mai presentato, per proporre circa la forma di governo cambiamenti tali che le più semplici regole della prudenza ci avevano impedito di proporre all’Assemblea costituente.

Per quale mai fatalità Brissot si trovò là ad appoggiare il progetto di petizione che servì di pretesto alla famosa coalizione per cagionare il massacro del Campo di Marte? Qualunque possa essere stato il perfido motivo di chi spinse i buoni cittadini a quel passo, esso era stato senza dubbio innocente. La petizione il cui progetto era stato arenato non aveva altro scopo che di proporre all’Assemblea nazionale di consultare i suoi elettori prima di pronunciarsi sulla questione relativa al re: e perché mai Brissot giunse a presentare un altro progetto che proponeva l’abolizione della monarchia proprio quando la fazione attendeva solo questo pretesto per calunniare i difensori della libertà?

Alla società degli Amici della Costituzione fummo proprio noi – già accusati di esagerazione – ad opporci al primo progetto di petizione, del quale non contesteremo certo la legittimità, ma di cui prevedevamo i funesti sviluppi. Fummo costretti ad impiegare tanta circospezione e fermezza per sanare le ferite apportate alla libertà da quella fatale catastrofe.

Non vorrei affermare tuttavia che le intenzioni di Brissot e di Condorcet fossero colpevoli così come gli avvenimenti furono disastrosi; non voglio far miei i rimproveri che a loro rivolgono i patrioti di aver finto di separarsi da La Fayette, del quale erano stati gli adulatori, per servire meglio il suo partito ed aprirsi una strada verso la magistratura attraverso ostacoli simulati e per stimolare in loro favore la fiducia e lo zelo degli amici della libertà.

In quella loro condotta passata non vedo altro che una enorme imperizia politica ed una profonda inettitudine.

Ma oggi che i loro rapporti con La Fayette e Narbonne non sono più un mistero; oggi che l’esperienza del passato può diffondere una nuova luce sugli avvenimenti attuali; oggi che essi non dissimulano più progetti di pericolose innovazioni e uniscono tutti i loro sforzi per diffamare coloro che si dichiararono difensori dell’attuale Costituzione; ebbene, ora essi sappiano che la nazione potrebbe sventare in un attimo tutte le trame ordite in tanti anni da piccoli intriganti.

Chiunque, basando progetti ambiziosi su eventuali nuovi errori del re, osasse accendere la guerra civile proprio quando la guerra ci viene dichiarata dallo straniero, sarebbe il più grande nemico della patria.

Francesi, deputati, unitevi dunque intorno alla Costituzione attuale; difendetela contro il potere esecutivo, difendetela contro tutti i faziosi. Non assecondate le mire di quelli che pretendono che essa non sia attuabile solamente perché essi stessi non vogliono attuarla...

Noi avremo dunque il coraggio di difendere la Costituzione anche a rischio di essere chiamati monarchici e repubblicani, tribuni del popolo e membri del comitato austriaco.

La difenderemo con tanto più zelo quanto più ci renderemo conto dei suoi difetti. Se la nostra obbedienza assoluta ai decreti che ledono i nostri diritti è un sacrificio offerto ai nostri antichi oppressori, che costoro almeno non ci neghino l’esecuzione di quelli che proteggono quei diritti. Se essi vedessero la Costituzione in tutte le leggi che favoriscono la tirannia, ma non la riconoscessero più in quelle che la incatenano, noi saremmo ripiombati sotto un giogo ben più insopportabile di quello dal quale la Costituzione ci aveva affrancati.

Nel difenderla, certamente non dimenticheremo che un periodo di rivoluzione non rassomiglia ad un periodo di calma, e che la politica dei nostri nemici fu invece sempre di confondere l’uno con l’altro per assassinare legalmente il popolo e la libertà.

I nostri princìpi, il nostro civismo, non hanno niente in comune con quello del ministro Narbonne, il quale, vedendo di buon occhio la bandiera della controrivoluzione issata nel Sud, osava provocare la vendetta nazionale contro i gloriosi marsigliesi per il fatto che – al fine di spegnere l’incendio della guerra civile – non avevano atteso gli ordini degli incendiari. Noi non amiamo la Costituzione come quelli che vi trovano sempre le armi per assassinare i patrioti deboli e per opprimere i soldati, ma non mai per sopprimere i capi militari ed i potenti colpevoli.

Noi non la difenderemo contro la volontà generale e contro la libertà; bensì contro gli interessi particolari e contro la perfidia; e non ci serviremo degli individui se non quando i loro nomi saranno inseparabilmente legati alla causa pubblica.

Non ci dissimuliamo che in tal modo tutti i partiti si schiereranno contro di noi; ma ci resterà il consenso della nostra coscienza e la stima di tutte le persone oneste.