Giorgio
Marchetti
(Architetto)
GIROTONDISMO
Fra i più brillanti umoristi
italiani, dotato di ironica e cólta finezza,
buttato fuori in quanto non omologatosi ai “girotondi”
Giorgio Marchetti, espulso nel 2002 da «il Vernacoliere» mensile
satirico livornese
Giorgio Marchetti, è nato
a Lucca nel 1943 da genitori livornesi con un quarto di sangue napoletano da
parte della nonna paterna. Esercita la libera professione di architetto a Lucca
nel campo dell’urbanistica, del restauro, dei beni culturali, ed è critico d’arte.
Dal 1986 al 2002 è stato collaboratore permanente de «il Vernacoliere»,
periodico satirico livornese di diffusione nazionale, con la firma di Ettore
Borzacchini.
Attualmente scrive sul quotidiano «Il Tirreno». Ha pubblicato: Il bulanchio
e altre stranezze (Punto Gamma, Lucca, 1978); Il grande Milvio. Cronache
del secondo liceo classico d’Italia (introduzione di Francesca Duranti) (Akademos,
Lucca, 1991); The mechanics of the mind (Espansione, Roma, 1993); La
metamorfosi del bignè. Flusso di umori estivi in forma di diario con l’intrusíone
di sei racconti veramente edificanti (Akademos, Lucca, 1995); Il
Borzacchini Universale. Dizionario ragionato di lingua volgare anzi volgarissima
d’uso del popolo (Ponte alle Grazie, Milano, 1996); Il Nuovissimo
Galateo del Borzacchini. Ameni e pratici consigli per l’aspirante gentiluomo:
perché non abbia a fare troppo schifo e possa utilmente collocare se stesso nel
consorzio cosiddetto civile di fine millennio (ivi); La macchina estetica. Il
percorso operativo nella costruzione dell’atteggiamento estetico (FrancoAngeli,
Milano, 1997); I temi di Pierin Lucchese (Maria Pacini Fazzi,
Lucca, 1998); Ultimissime aggiunte al Borzacchini Universale (ivi, 1999); Fra
ombre e autoritratti. Il critico presenta se stesso (con Danila Bertasio)
(Milano, FrancoAngeli, 2000); Il Terzo Borzacchini Universale (ivi, Ponte
alle Grazie, 2003); La villeggiatura del Borzacchini. Contro il rischio della globalizzazione delle vacanze (ivi, 2005);
Il Quarto Borzacchini Universale. Tanti nuovi, originali lemmi del dizionario maccheronico del terzo millennio (ivi,
2006).
Di Marchetti ha scritto il grande lessicografo e linguista italiano, Giancarlo Oli, riguardo al primo volume: «L’opera già nel titolo arieggia ambiziosamente secolari tradizioni e moderne imprese di grossi istituti e faraoniche fondazioni: a testimoniare, più che
l’esaustività dell’assunto, l’altisonante messaggio che il “parlare toscano e vieppiù
labronico” è ancora capace di trasmettere. Cosa che del resto traspare a ogni piè sospinto nella lettura del volume, nel quale ogni lemma esemplifica termini e significati sulla falsariga
di una filologia comicamente artificiosa e goliardica, mentre pornografia e coprolalia si aprono una strada di singolare e duratura scuola verso la satira e la giocosità».
Il brano seguente è tratto da Il Terzo Borzacchini Universale, pp. 217-220.
Appendice
Memorie e documenti per servire alla migliore comprensione di fatti, circostanze e personaggi della complessa e controversa realtà livornese.
Doc. I
Dove l’Autore propone al giudizio dei lettori il testo dell’articolo che gli è valso la cacciata da un periodico livornese di satira, da cui tristemente si desume che tutto il mondo è paese.
Girotondismo
Tanto per parafrasare un noto divo degli schermi assurto di corto alle cadùche glorie delle tribune del popolo ed in esse gagliardamente acquartieratosi con quel vasto successo di critica e di pubblico che da qualche tempo gli andava invece scarseggiando di fronte alle platee cinematografiche (ed egli, per questo, forse un po’ indispettito e acidulo nonché più stridulo nei registri alti dell’oratoria), mi chiedo, pensoso e pervaso dall’ansia del ben apparire agli occhi dei miei pochissimi ammiratori e dei miei numerosi detrattori, nonché dell’inclita salottistica militante dell’uno e dell’altro regime: «Mi si nota di più se vado al girotondo o se non ci vado? E se ci vado, mi si nota di più se me ne sto in disparte a fare il picchio sull’albero in fiore osservando con benevolenza l’aItrui gaio girotondare o se invece vi prendo parte ed io stesso intraprendo caroselli intrecciando sapide caròle e filastrocche irriverenti all’indirizzo de’ protervi potenti e della loro farabuttaggine inveterata?»
Che il gentiluomo di non spregevoli natali – benché indignato e sospinto dall’incalzar degli eventi più tragici e dall’urger delle più pressanti istanze socio-culturali, dall’obbrobriosa nequizia della classe politica, dalla sistematica devastazione di princìpi, valori e dettati costituzionali perpetrata dal governo in carica – non può recarsi a codeste manifestazioni, ancorché spontanee e popolari, come un qualsiasi sanculotto bifolco alla conquista della Bastiglia od un laido mugiko all’assedio del Palazzo d’Inverno di San Pietroburgo.
Cosa ci siamo andati a fare a scuola allora? Come diceva la mi’ nonna Velia affibbiandomi un nocchino nel capo quando mi sorprendeva da ragazzino a scaccolarmi voluttuosamente il naso con due falangi affondate nelle narici.
Conciossiacosaché nella girotondistica contemporanea bisogna sapersi comportare ammodino anche per dar pubblico esempio di creanza, specie laddove vi siano immancabili riprese televisive dell’accadimento di piazza, e un fiorir di spumeggianti intervistatori che vadan ponendo agli intervenuti quesiti di vasto portato filosofico e comportamentale: «Lei è la prima volta che partecipa ad un girotondo?» cui faccia d’uopo rispondere con un largo sorriso di suavissima beatitudine: « Sì... dai tempi dell’asilo dalle suore, ma qui è tutto diverso...», e lasciando altresì intendere come e qualmente la girotonditas, pur la più sinistrorsa (quella in cui si gira procedendo sulla mancina) ed eversiva, affondi le proprie radici nel fanciullino che ci consiste dentro.
«Nel gioco seri al pari d’un lavoro...»: ludus e poetica pascoliana han da prevalere e farsi semplice, ingenua cornice della protesta che monta dal basso, avendo ben in mente quanto e come – ad esempio – la quadriglia e il bal-en-tête abbiano rivestito un ruolo determinante nelle strategie di Cavour durante il Risorgimento e la furlana e il rigodone si sian rivelate determinanti nelle sollevazioni popolari dei moti carbonari di Modena del 1821 e come, al contrario, un uso improvvisato e dilettantesco della tarantella abbia contribuito al tragico fallimento della spedizione di Sapri.
Ed ecco che l’íntellettuale del terzo millennio il quale, nelle scelte del quotidiano risulta aspramente dilacerato tra la lettura sonnacchiosa e laterale di Micromega e quella arrembata e latrinale di Tex Willer, tra l’austero classicismo mitteleuropeo della Sachertorte e l’opulenza globalizzata e spalmabile della Nutella, tra la compassionevole sorte delle donne velate e l’esaltante futuro di quelle velinate e tra mille altre sgomentevoli alternative nel mercato del trendy e delgriffato, ritrova equilibrio, conforto e nuova innocenza nell’esercizio del girotondo; poiché íI girotondo, a ben vedere, altro non è che I applicazione pratica dell’arcaico simbolo dell’ouroboro (vulgo: l’animale che si mangia la coda): «gira gira, tanto alla fine ritorni da dove sei partito», coll’implicito vantaggio che con il tener le mani occupate per lo meno non si fanno altri danni, antica e sana regola gesuitica per evitare che gli adolescenti s’abbandonassero, com’era uso, alla pratica smodata della masturbazione la quale, si sa, fa piangere la Madonna.
Ben venga allora il trovarsi tutti insieme, come ai tempi dell’oratorio, e festosamente girare in tondo per la mano; naturalmente seguendo le regole e il bon ton, senza sguerguenze, e non dico tanto lancio di sampietrini e bottiglie incendiarie o scivolate di spranghe, ma neanche merdajole, scorreggioni e rutti: solo tiritere e gustosi calembour, contumelie in rima baciata, vaghe allusioni all’onorabilità personale e mai – politically incorrect – a quella di madri, mogli e sorelle, rigorosamente riservate alle terne arbitrali delle partite di campanile.
Pertanto un rito acconcio agli intelletti emancipati e alle personcine perbene, atto ad educar la bassa marmaglia e a reprimerne gli istinti pecorili che velenosamente dilagano ogniqualvolta s’aduna spontaneamente (o vien di precetto adunata) oceanicamente una folla, vuoi per decidere tra Gesù e Barabba, vuoi per godersi una mannaia in funzione, vuoi per assalire il Forno delle Grucce, vuoi per plaudere ad una dichiarazione di guerra, vuoi per assistere ad un concerto di Ligabue.
Andiamo quindi all together ai girotondi, magari con la raccomandazione di concedersi alcune piccole trasgressioni, profittando di quegli opulenti presìdi alimentari furgonati che di solito accompagnano ogni grande manifestazione di popolo, poiché sarà dai dati forniti da «Porchetta Democratica» sul numero di suini consumati, attraverso un semplice algoritmo statistico (num. porch. affett. X 100 + num. mortad. X 250 + num. sacch. brigid. /2) che si potrà veridicamente valutare il successo dell’evento e la partecipazione della gente, con ampio riscontro nel turpiloquio da parte de’ furibondi netturbini addetti alla ripulitura delle smerdature del luogo pubblico e delle strade adiacenti la mattina dopo.