New York, 15-18 ottobre
1999
Giovanni Armillotta - Giornalista
GLI ITALIANI SULLE QUESTIONI ALBANESI
Molti albanesi sono al corrente della superficialità
dei giornalisti italiani
Introduzione
Nell’autunno 1997 è stato pubblicato il n. 1 di
un nuovo periodico della Columbia University di New York, «The
International Journal of Albanian Studies» diretto dall’albanese
Shinasi A. Rama e composto di collaboratori, principalmente albanesi e
di altri Paesi. L’articolo del direttore Transition, Elite Fragmentation
and the Parliamentary Elections of June 29, 1997, rappresenta quanto
di più valido sia stato pubblicato dai gravi fatti che dal gennaio
1997 hanno posto l’Albania alla ribalta delle cronache; un contributo che
ci aiuta a comprendere e cogliere in profondità le contraddizioni
che agitano la società civile del glorioso Paese balcanico.
Io non pretendo di aver letto da principio del ’97 tutta la pubblicistica
internazionale in argomento, però se quella italiana - di un Paese tradizionalmente
sensibile al Vicino balcanico - ha espresso, a mio modesto parere, poche firme
credibili ed autorevoli sui problemi interni albanesi, ritengo che questi meritino
la considerazione degli Schipetari per il loro impegno e per le tradizioni albanologiche
del Paese che rappresentano. Mi riferisco a Luciano Canfora, Federico Eichberg,
Costantino Marco, Elio Miracco, Indro Montanelli, Emmanuela C. del Re e Alessandro
Sfrecola, gli unici ad individuare temi senza suggeritori, costrizioni, condizionamenti
e – cosa fondamentale – avulsi da un certo spirito di altri, a metà fra
il razzistico ed il compassionevole, che l’assoluta ignoranza di gran parte del
nostro Paese ha accompagnato i gravi episodi protrattisi fino all’estate 1997
e nella recente guerra NATO-Serbia. Si sono ascoltate nelle televisioni italiane
frasi del tipo: "gli Albanesi sono incivili", "gli Albanesi sono animali feroci",
"gli Albanesi sono slavi", "l’albanese è un dialetto greco", "gli Albanesi
hanno il culto della violenza", "i Serbi (del Nord) sono nordici, gli Albanesi
(del Sud) sono sudici" (in italiano sudici corrisponde all’inglese dirties
oppure slovenlies), "Igoumenitsa è un porto albanese"; d’altra
parte si sono uditi uomini già dell’ex area governativa 1994-96 esclamare:
"gli Albanesi erano filosovietici, poi ci ha pensato Gorbacëv a far cambiar
loro idea e ad ordinare di abbattere le statue di Breznev (!!!)"; si è
letto e sentito un po’ dappertutto: "gli Albanesi sono ignoranti, e la maggior
parte di loro non sa né leggere né scrivere", "il loro alfabeto
è composto di quasi venti lettere", "l’arbëreshë è un
dialetto della Calabria", "il Congresso di Monastero (sic! invece è
Manastir) fondò un partito politico", "agli Albanesi non piace lavorare",
"gli Albanesi sono una razza inferiore", "gli Albanesi hanno provocato la prima
guerra mondiale e quella in Bosnia", "gli Albanesi sono integralisti islamici",
ecc. Addirittura il sacerdote cattolico, Prof. Gianfranco Ravasi, si è
letteralmente scandalizzato ad apprendere che un super pagato giornalista radiotelevisivo
abbia confuso nella guerra NATO-Serbia, "senza nessun imbarazzo la Drina che
è il fiume della Bosnia, col Drin che è invece il fiume che attraversa
la Kosova" (Dossier Balcani, «Il Sole-24 Ore», Milano, 25
aprile 1999). Ma il peggiore apprezzamento sugli albanesi si è letto su
un articolo a firma di Giorgio Torelli, Albania, terra di incognite più
che di aquile, pubblicato su «Il Giornale» di Milano del
22 aprile 1997: "L’Albania, per terra di aquile che voglia essere, resta uno
dei più squinternati luoghi di trapianto della civiltà, figurarsi
la messa in opera di una qualche decenza politica. […] nel più accerchiato
degli avamposti, dove tutto è fame, disgrazia, sconcerto, lacrime, furori
e alterezze analfabete"… il guaio non è la disinformazione di chi diffonde,
o fa diffondere, queste assurdità (l’ignoranza e l’ipocrisia di noi è un
nostro problema personale), bensì è che centinaia
di migliaia di Italiani, che hanno voglia di sapere, hanno ascoltato credendo,
in buona fede, di udire il vero! E se tutte queste inesattezze provengono dall’Italia,
uno Stato che dovrebbe conoscere bene l’Albania, che cosa si leggerà negli
altri Paesi? O queste cose sono talmente assurde da essere insuperabili? Ripeto,
ho letto con insufficienza la stampa estera sull’argomento, ma siccome vivo in
Italia se ne ha abbastanza per restarne indignati, ed è vergognoso il
poter pensare che anche moltissimi Albanesi d’oltreadriatico e della diaspora
siano venuti a conoscenza di tutto questo pressappochismo attraverso televisione
e giornali italiani. Quella stessa tele–stampa giustamente
stigmatizzata dall’ex ambasciatore italiano a Tirana, Paolo Foresti, oppure dall’ex
ambasciatore a Mosca, l’autorevole storico e giornalista Sergio Romano, in merito
all’inconsistenza del sapere storico-politico-diplomatico nel nostro Paese, e
sulla pochezza per lo meno informativa che regna sovrana fra i depositarî
dello scibile cartaceo e televisivo. Successivamente, parte
della stampa – per tentare un "recupero" – ha avuto anche l’ardire di stigmatizzare
il comportamento del governo italiano nelle figure degli allora Presidente del
Consiglio, On. Romano Prodi, e della totalità dei ministri - i quali si
sono prodigati al massimo per l’ottima riuscita dell’operazione di pace "Alba",
poi della Forza Multinazionale di Protezione, ed oggi della missione "Arcobaleno",
e del rafforzamento dell’amicizia fra Albanesi ed Italiani. Pochi sono stati
in grado di produrre un’analisi scientifica sulle contraddizioni albanesi: qualcuno
in Italia ha azzardato timide ipotesi pro-albanesi, forse spinto da una simpatia
viscerale, da un senso di solidarietà nei confronti di un Popolo prostrato
da quasi mezzo secolo di dittatura comunista; ma pure in questo caso la lucida
e spietata valutazione dei pochi suddetti si erige magistralmente al di sopra
di qualsiasi visione cattedratica o meramente saggistico-giornalistica, sia essa
sincera o finalizzata chissà a quali scopi. Sulla
cosiddetta immaturità del Popolo albanese (sostenuta in gran parte dalle
sinistre), è ovvio che nessun cosiddetto "esperto" abbia sottolineato
che gli Albanesi non si siano mai divisi sul fronte religioso o regionale, fomentando
motivi di scontro. Ciò avrebbe voluto dire abbattere uno dei più
ancestrali luoghi comuni di giudizio: che gli Albanesi siano tribù cementate
dall’odio reciproco provocato dalla fede. Quest’ammissione avrebbe comportato
il totale autodiscretito dei cosiddetti "esperti".
Sali Berisha
Altro bersaglio delle sinistre italiane è stato
il Presidente, Sali Berisha. Che Berisha abbia gestito con decisionismo
la transizione albanese - fra errori ed ottime intuizioni politiche - è
chiaro, ma questi pochi amici dell’Albania presenti nella pubblicistica
e nel giornalismo italiano, con acume hanno stigmatizzato senza mezzi termini
pure il comportamento di certi ambienti occidentali che sin troppo a lungo
hanno fatto finta di sostenerlo, per poi abbandonare Berisha al suo destino.
È doveroso affermare che Berisha – il quale ha aperto un nuovo ed
interessante capitolo nelle relazioni internazionali albanesi 1992-97 –
al pari dei suoi scaltri predecessori, ha saputo mediare alla meglio la
diaspora albanese nei Balcani, e porre, da presidente della Repubblica,
un freno alle spinte secessionistiche in Kosova e Macedonia, garantendo
così la pace almeno da parte dell’elemento schipetaro. Se ben ponderiamo
in una maniera assai più ardua di Enver Hoxha e Ramiz Alia, i quali
avevano dalla loro una Penisola tranquilla, e non certo avevano bisogno
di cavalcare la tigre del nazionalismo per restare in sella. Inoltre l’attitudine
pacifica di Berisha ha rafforzato negli esecutivi successivi il senso civile
albanese presso l’opinione pubblica internazionale: infatti nel corso delle
guerre balcaniche anni Novanta, nella sola Albania non si sono imbracciati
i fucili contro altri Popoli, nonostante le gravi provocazioni serbe ai
propri confini durante l’ultimo conlitto di primavera: la pazienza degli
Albanesi non ha limiti.
Il pluralismo albanese a confronto del monolitismo democratico dell’Europa Orientale
I disordini del 1997 sono stati sfruttati ed esagerati con esasperazione
da una certa stampa di sinistra cosi come anche in televisione; ed anche lo schieramento
dei partiti alla vigilia e dopo il 29 giugno 1997. Non si è fatto notare
che la caduta dei regimi comunisti nell’Est non ha provocato - come ha fatto
invece in Albania, con il pluralismo delle opinioni - una formazione di partiti
schierati su posizioni caratterialmente ideologizzate e fortemente opponentisi.
L’esempio della proliferazione polacca è emblematico: là i movimenti
rappresentano quasi interessi momentanei a livello d’opportunismo commerciale-opinionistico
(molto simile il caso del "millionarismo" bulgaro) e la stessa Solidarnosc dopo
aver cavalcato la tigre vincente del cattolicesimo d’opposizione è andata
in crisi, è soltanto oggi sta recuperando i valori originari; in altre
realtà il partitismo o si è manifestato in forme di separatismo
etnico (vedi ex Jugoslavia, ex Cecoslovacchia, ex Unione Sovietica, poi Bosnia,
ed infine Kosova), oppure ha dato vita a organizzazioni strutturate e mutuate
dagli ex partiti comunisti, che in pratica non hanno rivali (Slovenia, Croazia,
la stessa Serbia, e per periodi Romania, Ungheria, Paesi baltici).
Le riflessioni sui partiti albanesi dovrebbero essere
uno strumento di primissimo ordine per coloro – nonostante i tempi siano
ancora "giovani" – che vogliano dedicarsi ad un serio lavoro sulle correnti
politiche dell’intera Europa.
Oggi, però, emblematicamente anche i consensi
ricevuti dall’istituto monarchico nell’ultimo referendum istituzionale,
sono un chiaro monito che nel cittadino albanese non c’è più
spazio per dogmi o sorpassati legami col marxismo-leninismo oppure col
"capitalismo dei miracoli" (vedi piramidi finanziarie), bensì la
riaffermazione dei valori patriottici, e la speranza di creare condizioni
per una vita migliore e prospera, priva di pericolosi entusiasmi e avventati
salti nel buio. La nascita e il consolidamento di nuovi partiti e di un’opposizione
democratica, indicano chiaramente quanto di valido possa esprimere il nuovo
corso, nel momento stesso in cui si prenda come punto di riferimento l’Europa,
ed i suoi ultramillenari vincoli con il Paese delle Aquile. Il carattere
originale politico degli Albanesi lo constatiamo pure nei suoi partiti;
l’animo con cui gli elettori si sono recati a votare in tutte le elezione
indica quanta volontà di lavorare e progredire alberghi nello spirito
dei cittadini, i quali credono nella democrazia e nei suoi strumenti, nondimeno
l’eccessivo spirito di fazione che ha pur sempre contraddistinto la storia
d’Albania. È significativo che i primi tentativi di coalizione,
di accordo anche fra posizioni distanti, vadano interpretati come un primo
passo di quell’unione fra élite e popolo che sarebbe alla base di
un reale progresso economico e finanziario. Ma tutte queste cose si cerca
di non scriverle sulla stampa italiana.
(L'Autore è il capo-redattore della rivista «Africana»
la quale nel proprio consiglio scientifico annovera studiosi di numerose Università
italiane).
© Giovanni Armillotta, 1999