Bibl.: Paolo Terreni, Alberto Zampieri (a cura di...), Guida al Giugno Pisano, Pisa, Edistudio, 1998, pp. 3-8
Paolo Terreni
GLI EROI DI CURTATONE
Paolo Terreni è direttore responsabile del «Neroazzurro» di Pisa, fra i primi "football supporters magazine" d'Italia, fondato nel 1921. Terreni è esperto di storia e tradizioni pisane nonché noto e stimato vignettista
Il 29 maggio 1848,
fra i paesi di Curtatone e Montanara, a poche miglia dalla città
fortificata di Mantova, fu scritta una delle pagine più belle del
Risorgimento italiano. Il corpo di spedizione austriaco, al comando del
Maresciallo Johann Joseph Radetzky, forte di quasi 35.000 uomini, uscito
da Verona due giorni prima per aggirare da sud le truppe piemontesi, prese
d’assalto le posizioni tosco-napoletane difese da poco più di 4.800
combattenti fra soldati regolari e volontari che si frapponevano fra loro
e l’esercito di Carlo Alberto. Quel giorno si distinsero con atti di valore
degni di veterani di cento battaglie, dettati in egual misura dall’amor
patrio e dall’incoscienza giovanile, gli studenti del Battaglione Universitario.
Ma andiamo con
ordine. Fino dall’anno precedente era stato concesso ai cittadini toscani
di costituire le guardie civiche ed agli studenti universitari di organizzarsi
in corpi armati. Ben presto i giovani si erano riversati numerosi e pieni
di entusiasmo nelle piazze per ricevere i primi rudimentali addestramenti,
impartiti per lo più da reduci delle guerre napoleoniche.
Dalle cattedre
i professori pronunciavano parole di fuoco e sottobanco venivano diffusi
gli scritti dei vari Mazzini, Gioberti e Niccolini. Professori illustri
del calibro del Mossotti, del Pilla e del Montanelli accrescevano la stima
che gli allievi riponevano in loro alternando alle ore di lezione accorati
appelli all’unità degli Italiani ed inculcavano nei giovani ascoltatori
l’amor patrio che albergava nei loro cuori. Il professor Silvestro Centofanti,
titolare della cattedra di Storia della Filosofia nella nostra Università,
esprimeva queste idee in una serie di lezioni, esaltando i valori della
Libertà dei popoli e dell’Unità Nazionale. La sua celebre
orazione del 15 marzo 1848 sul Risorgimento Italiano è rimasta nella
storia dell’Ateneo pisano. E come non ricordare, fra gli altri, il professore
di Architettura Guglielmo Martolini, che approfittava delle ore a sua disposizione
per impartire ai suoi allievi lezioni sulle fortificazioni. Egli sarà
uno dei primi a passare dalla teoria alla pratica mettendosi in lista per
la "campagna" di Lombardia e guidando i suoi studenti sui campi di battaglia.
Quando il 13 marzo
Vienna insorge e ad essa fa seguito Milano, seguendo l’esempio dell’abate
Giambattista Zafferoni, che in pratica fu colui che ne accese la miccia,
l’intera penisola, dalla Lombardia al Veneto, dal Ducato di Modena al Regno
delle Due Sicilie, corre alle armi. Quando il 18 dello stesso mese giunse
a Pisa la notizia dell’insurrezione di Milano, non fu più possibile
trattenere i più intrepidi che corsero ad arruolarsi nei vari battaglioni
di volontari che si stavano costituendo. Allorché Bettino Ricasoli,
ottenuto il consenso del Granduca Leopoldo II di Asburgo-Lorena, concede,
non potendo restare ulteriormente insensibile alle pressioni della piazza,
il suo benestare e allo scoccare del mezzogiorno del 22 marzo dalla Sapienza
e su su per il Lungarno, Borgo Stretto e via S. Anna, muove il Battaglione
Universitario Pisano, forte di 389 uomini fra studenti e professori, alla
volta della stazione ferroviaria di Porta a Lucca. Da qui, a bordo di un
cigolante convoglio, raggiungono Lucca al grido di "Viva l’Italia" e "Viva
Pio IX". Il giorno successivo Carlo Alberto dichiarò guerra all’Austria
e le truppe piemontesi varcarono il confine lombardo.
Il 3 aprile a Pontremoli
si unirono ai Pisani 74 allievi dell’Università di Siena. Si formarono
sei compagnie, in seguito riconvertite in quattro, e, al comando del Maggiore
Ottaviano Fabrizio Mossotti, professore di Fisica matematica e Meccanica
celeste, il Battaglione Universitario Toscano si diresse verso Reggio Emilia,
accompagnato dalle note della canzone di Carlo Alberto Bosi "Addio, mia
bella, addio". Era stato proprio a Pisa, in casa di Caterina Castinelli,
che accompagnava al pianoforte, che l’autore, pochi giorni prima della
partenza per i campi lombardi, aveva diretto per la prima volta quella
che fu forse la più amata canzone epico-popolare del secolo scorso.
Con un alternarsi
di vicende che ora esaltavano ed ora gettavano nel più profondo
sconforto gli studenti, dalla consegna da parte delle donne di Reggio del
tricolore all’ordine, poi rientrato, impartito dal ministro Ridolfi ai
professori, di sciogliere il Battaglione e far ritorno a Pisa, la marcia
di avvicinamento proseguì fino al momento sublime dell’attraversamento
del Po. A questo punto, però, non tutto continuò a filare
secondo le speranze dei Toscani. Le più alte autorità militari,
infatti, al fine di tutelarli il più possibile, visto che non erano
riusciti a farli rientrare, decisero di tenerli di riserva, nelle retrovie,
ben lontani dalle zone a rischio. In quelle teste calde si diffuse ben
presto il malumore ed arrivarono perfino a minacciare la diserzione in
massa. Qualcuno, in effetti, prese i suoi ciottolini e andò ad arruolarsi
nelle file piemontesi, ma la stragrande maggioranza dei giovanotti fu convinta
a pazientare. Finalmente il Battaglione Universitario fu fatto attestare
fra Curtatone e Montanara, praticamente al centro della linea italiana
che andava da Goito a San Silvestro. Questa zona era presidiata, oltre
che dai civili e dagli studenti toscani, anche dal I reggimeno di linea
del Granducato di Toscana, dai volontari e dal X di linea napoletani. Il
26 maggio al quartier generale delle Grazie ci fu il passaggio di consegne
al comando supremo dei Toscani fra il generale D’Arco Ferrrari, richiamato
a Firenze, e il conte Cesare De Laugier de Bellecour, di Portoferraio,
vecchio ufficiale napoleonico reduce dalle campagne di Spagna e di Russia
e dal passato che sembrava uscito dalla penna di uno scrittore d’avventure.
E sarà proprio
quell’anziano e ardente patriota a guidare tre giorni dopo quel manipolo
di giovani, ricchi di entusiasmo e di amor di patria, avvezzi più
alla penna e al calamaio che a maneggiare una baionetta, contro l’organizzatissima
macchina da guerra austriaca del generale Radetzky. Quando dopo circa due
ore di combattimento, verso le undici di quel 29 maggio, fu dato l’ordine
fatidico al Battaglione Universitario, fino a quel momento tenuto di riserva,
di dirigere su Curtatone per intervenire nel combattimento, furono in pochi
gli studenti che poterono ubbidire. Gran parte di loro, infatti, alla spicciolata
o in piccoli gruppi, fin dalle prime schioppettate si era lanciato a corsa
giù per la china verso la mischia per dare il proprio contributo.
Sulle rive dell’Osone i sei cannoni e i due mortai dei Tosco-napoletani
contrastarono finché poterono la schiacciante superiorità
delle 130 bocche da fuoco austriache. Non si contano gli atti di eroismo
che hanno caratterizzato quella giornata e che sono giunti fino a noi tramandati
più come fatti leggendari che non come realtà storiche e
troppo spazio occorrerebbe per riportarli in questa sede. Ma come non ricordare
Elbano Gasperi, artigliere, che, rimasto il solo in grado di camminare
della sua batteria per lo scoppio di una cassa di munizioni raggiunta da
un razzo austriaco, pur con i capelli e gli abiti sbruciacchiati, continuava
a balzare, seminudo, da un cannone all’altro caricando i pezzi e facendo
fuoco da solo sul nemico. E come non ricordare Alberto Bechelli, che, morente,
recita la "Canzone all’Italia" del Leopardi al nemico che avanza. E poi,
ancora, come non ricordare il professore Giuseppe Montanelli, che, gravemente
ferito, impone all’amico Malenchini di abbandonarlo e di tornare al suo
posto a combattere e l’altro professore dell’Ateneo pisano, il geologo
Leopoldo Pilla, che, in fin di vita, con un braccio e un fianco spappolati
per essere stati trapassati da una palla di cannone, si lamenta di non
aver fatto abbastanza per l’Italia.
Tre, quattro, cinque
ndate successive si abbatterono sulla linea difensiva, sempre portate da
truppe fresche e sempre accompagnate da un fuoco terribile di artiglieria
sui terrapieni dietro ai quali Toscani e Napoletani continuavano a resistere.
Ed ogni assalto veniva fermato da un fuoco disperato di fucileria e ad
ognuno faceva seguito un disorganizzato contrattacco di ragazzotti urlanti
che si facevano trascinare dall’impeto dell’incoscienza verso il piombo
nemico. Questa resistenza ad oltranza, del tutto inaspettata, fece credere
agli Austriaci di trovarsi di fronte all’esercito regolare piemontese e
questo, forse, li fece agire con maggior cautela, tanto da favorire i difensori.
Invano il De Laugier aveva a più riprese chiesto l’intervento dei
Piemontesi, dislocati a non tantissima distanza dal fronte ed il Generale
Bava aveva più o meno velatamente promesso d’intervenire, ma senza
mai farlo per tutta la giornata, sacrificando quei valorosi alla ragion
di Stato.
Quando verso le
quattro il comando tosco-napoletano prese finalmente atto che non sarebbe
giunto nessun aiuto da coloro che erano andati ad aiutare e che ogni resistenza
era ormai divenuta impossibile, diede l’ordine di ritirarsi. La ritirata
non fu una rotta disordinata, ma, protetta dai bersaglieri toscani del
Malenchini, che con atti di grande eroismo trattennero per oltre un’ora
le quadrate compagnie croate, boeme e tirolesi, permise di portare in salvo
quasi tutti i superstiti della giornata.
I riconoscimenti
più graditi per chi calpestò quel giorno i prati nei dintorni
di Curtatone furono senz’altro quelli che vennero dagli avversari, che
spesero parole di ammirazione per quei ragazzi non certo avvezzi all’uso
delle armi, ed in particolare quelli che lo stesso Fedelmaresciallo Radetzky
pronunciò in più occasioni. Egli addirittura strinse la mano
al suo avversario, il Generale De Laugier, divenuto nel frattempo Ministro
della Guerra, a Firenze, un anno dopo, l’8 giugno del 1849, in occasione
di una visita di stato. In quell’occasione gli disse, fra l’altro:
«Eccovi,
finalmente! È da quel 29 maggio che desideravo ardentemente di conoscervi.
Ma bravo! Anzi, bravi! Mi avete tenuto testa per sette ore ed eravate solo
un pugno di ragazzi! E pensare che siete riusciti a farmi credere di aver
davanti il meglio dell’esercito piemontese! Bravi!».
Purtroppo questa
Italia si è scordata di Curtatone e dei suoi eroi! Quei ragazzi
che hanno lasciato genitori e fidanzate per trasformarsi in martiri del
Risorgimento sono stati ben presto relegati in due righe anonime su rari
testi di scuola e quelle che furono le "Termopili" italiane si ricordano
solo all’interno delle fredde mura delle università interessate
all’episodio. Ma senza il sacrificio dei Tosco-napoletani, che per un’intera
giornata fecero fronte alle preponderanti orde austro-ungariche, l’astuto
piano del generale Radetzky di aggirare l’esercito di Carlo Alberto si
sarebbe realizzato, cancellando così dalla Storia il trionfo piemontese
di Goito del giorno successivo. I volontari toscani furono sconfitti, è
vero, ma nemmeno con un miracolo quella giornata avrebbe potuto avere una
fine diversa. Fecero però il loro dovere fino in fondo e forse ottennero
anche molto di più di ciò che ci si aspettava da loro, permettendo
così alle truppe regolari del Re di Sardegna di organizzarsi e predisporre
con calma il fronte su posizioni a loro favorevoli per la battaglia del
giorno successivo. Fino al calar del sole non ci fu ritirata e furono soltanto
le stelle che riuscirono a vedere la scintillante cavalleria ungherese
che finalmente galoppava, ubriaca di rabbia, oltre le rive dell’Osone.