N. 3, 21 gennaio 1994, p. 112

Mauro De Bonis

MITI SOVIETICI: LO SPARTAK. UN CALCIO AL REGIME
È ricca. Democratica. Amata. È la squadra di Mosca. Che vince quasi sempre.
Diretta da un ultranoventenne

La Russia è nel pallone. La Nazionale ha strappato con largo anticipo e in modo eccellente il biglietto per i prossimi campionati mondiali negli Usa; e lo Spartak, la squadra più amata in tutta l’ex Unione Sovietica, è in Europa tra le prime della classe a disputarsi la Coppa dei Campioni. Lo squadrone di Mosca offre uno spaccato di efficienza, tanto che viene additata a modello agli economisti del governo. Tra l’altro, al suo mito calcistico si accompagnano anche antiche simpatie di libertà.
Da due anni lo Spartak domina il campionato con risultati da Milan (l’ultimo, appena concluso, lo ha vinto con 53 punti, 10 più della seconda; 81 reti segnate e appena 18 subite). Non solo: rifornisce la Nazionale di ben 10 elementi, e vende in tutta Europa i suoi gioielli.
La storia dello Spartak si lega inscindibilmente a quella del suo direttore generale, il novantaduenne Nikolaj Starostin, che assieme ai suoi tre fratelli è da decenni il simbolo della squadra e di quella che è stata la Nazionale sovietica. A lui, nel 1935, l’allora segretario del Comitato centrale del Komsomol (l’Organizzazione giovanile del partito) Koserev propose di organizzare un’Associazione sportiva di volontari: lo Spartak, appunto.
Se la Dinamo era la squadra del ministero degli Interni e del Kgb, e il Cska era la formazione cara all’Armata Rossa, lo Spartak divenne subito per milioni di sovietici la squadra del dissenso. «Nel 1936 disputammo il nostro primo campionato e lo vincemmo», racconta orgoglioso il vecchio Starostin, «conquistando le simpatie di tantissimi tifosi». Ma il calcio sovietico era stato fino ad allora dominato dalle squadre al potere, e questa giovane compagine indipendente attirò le ire di tifosi altolocati. «Fu nel ’39, dopo la nostra vittoria nella Coppa nazionale contro la Dinamo», continua Starostin, «che iniziò la tragedia». I quattro fratelli furono arrestati come terroristi al soldo del citato Koserev che venne fucilato. «Io sono stato più fortunato: per due anni mi hanno tenuto in isolamento», ricorda l’anziano dirigente, «e poi mi hanno condannato a 10 anni come “sostenitore dello sport borghese”». Fu l’invidia calcistica di Lavrentij Pavllovic Berija, a dare il via alla persecuzione. Infatti la Dinamo Tbilisi, la squadra del cuore di Berija, era stata più volte battuta dallo Spartak. Starostin fu riabilitato nel ’54 e insignito dell’Ordine di Lenin; qualche anno fa gli è stata appuntata anche l’onorificenza di Eroe del lavoro, riconoscimento che a uno sportivo era toccato solo al portiere della Nazionale sovietica, il mitico Jašin.

 

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