Gert
Schwaner
(Candidatus
Magister in Storia presso il Dipartimento di Romanistica
dellUniversità di Århus Danimarca)
TANGENTOPOLI
La corruzione politico-amministrativa nella società
italiana era tutt’altro che un fenomeno sconosciuto ma le indagini scoprivano
un sistema di mazzette, tangenti e appalti truccati che costituiva un modo di
vivere profondamente radicato nel mondo delle società imprenditoriali e dei
partiti politici: un vero e proprio inquinamento dell’ambiente.
“Per me Tangentopoli è stata una città virtuale, fatta
di malaffare, di lottizzazione, raccomandazioni e voti di scambio, dove la
gestione della politica era finalizzata agli interessi personali o di parte,
piuttosto che agli interessi generali”[1].
Le indagine conquistavano le prime pagine dei giornali;
politici e affaristi a centinaia erano denunciati e condannati, i magistrati
diventavano eroi nazionali, i due grandi partiti, Democrazia Cristiana e
Partito Socialista Italiano, crollavano e con loro la prima Repubblica
italiana. Un nuovo partito emergeva: Forza Italia, il cui capo, Silvio
Berlusconi, dichiaratamente ostile alla Magistratura, perseguiva il potere
politico, cercando di disarmare la legge.
Di quelli eventi – carichi anche di tragici drammi
personali, animosità e opportunismo – tratta questo compito. E rifacendomi per
alcuni spunti al libro di Maurizio Cotta e Pierangelo Isernia – Il gigante
dai piedi di argilla – vorrei anche tentare di chiarire com’è avvenuto il
crollo d’un sistema partitico e politico che era stato caratterizzato nell’arco
di più di quarant’anni da una notevole continuità e saldezza.
La valanga precipita
Secondo la cronaca l’inchiesta di “Mani pulite” si è
scatenata quasi per caso quando l’ingegnere Mario Chiesa è stato arrestato dai
carabinieri il 17 febbraio 1992 a Milano. Un imprenditore, Luca Magni, titolare
di una ditta di pulizie, alla fine ne aveva avuto abbastanza degl’infiniti
pizzi che si dovevano pagare e aveva deciso di rivolgersi alla caserma dei
carabinieri; il capitano Zuliani condusse Magni al PM, di Pietro, che
dall’ottobre del 1991 aveva cominciato a indagare sull’attività di Chiesa come
parte d’una investigazione sull’intreccio affari-politica. Il 17 febbraio Magni
si sarebbe dovuto presentare all’ufficio del presidente del Pio Albergo
Trivulzio – la più nota casa di riposo milanese – il suddetto Mario Chiesa,
per pagare una mazzetta, e continuare il rapporto di lavoro. Presentandosi all’ufficio
del presidente, Luca Magni era stato munito dai carabinieri d’una microspia, e
le banconote ammontanti a 7 millioni di lire, che costituivano la mazetta,
erano state segnate e fotocopiate; quindi all’arrivo dei carabinieri Mario
Chiesa fu preso con le mani nella marmellata[2].
In un’intervista a Il Mondo, luglio 1992, Luca
Magni racconta il drammatico episodio:
Signor Magni, racconti quel 17
febbraio.
Quel giorno sono andato, attorno
alle 13, alla caserma dei carabinieri di Via Moscova, dal capitano Roberto
Zuliani, che mi ha poi accompagnato a Palazzo di giustizia, dal giudice Antonio
Di Pietro.
Come l'ha trattata Di Pietro?
Ero un po’ teso, perché non mi
aspettavo di incontrare un magistrato. Mi sono però subito tranquillizzato,
perché Di Pietro è stato molto gentile: prima ha mandato fuori dalla sua stanza
tutti quelli che vi stavano lavorando, poi mi ha messo a mio agio, mi ha
chiesto di raccontargli i fatti. Senza alcun atteggiamento inquisitorio nei
miei confronti. Infine siamo tornati in caserma. I carabinieri hanno preparato
l'operazione. Abbiamo predisposto una mazzetta di 7 milioni: una banconota ogni
dieci era firmata su un lato da Di Pietro e sull'altro dal capitano Zuliani.
Di chi erano i soldi?
Erano miei. Veramente avrei
dovuto portarne 14 a Chiesa, ma ho chiesto a Zuliani di ridurre, visto come
doveva andare a finire. Dalla caserma sono partite quattro automobili. Io era
sulla mia Mitsubishi, con a fianco un carabiniere in borghese. Ci siamo diretti
verso il Pio Albergo Trivulzio. L'appuntamento era per le 17.30. Io sono salito
nell'ufficio del presidente, Mario Chiesa, in Via Marostica 8. Dopo mezz'ora di
anticamera, mi ha ricevuto. Era una consuetudine dell'ingegner Chiesa far
aspettare almeno mezz'ora prima di ricevere.
Quando sono entrato, avevo nel
taschino della giacca una penna che in realtà era una microspia trasmittente.
In mano avevo una valigetta che conteneva una telecamera. Di Pietro e Zuliani,
dunque, potevano seguire in diretta il mio incontro. A dire la verità avevo una
paura pazzesca, insomma ero agitatissimo. L'ingegner Chiesa era al telefono e
io sono stato dieci minuti in piedi ad aspettare che finisse di parlare. Poi
gli ho dato la busta che conteneva i 7 milioni. Gli ho detto che gli altri 7
per il momento non li avevo.
E Chiesa come ha reagito?
Nessun commento. Mi ha solo
chiesto 'Quando mi porta il resto?'. Gli ho risposto 'La settimana prossima'.
Mentre uscivo dall'ufficio, un carabiniere in borghese entrava a bloccare
Chiesa. Poi ho visto altri uomini correre gridando: 'Dov'è la presidenza?'.
E lei?
Io, appena fuori, ho telefonato
con il cellulare a mia madre e a mia sorella, che erano a casa, per
tranquillizzarle perché erano più preoccupate di me. Poi ho ripreso l'auto e
sono tornato in Via Moscova.
Ha rivisto Chiesa?
No. In caserma ho intravisto la
sua compagna, arrivata con due grosse borse, forse per il carcere.
Com'era Chiesa, visto da vicino?
Arrogante. Scortese. Urlava
spesso e si esprimeva in modo molto volgare con tutti. I miei operai avevano un
vero e proprio terrore del presidente. Gli incontri con lui di solito erano
fatti di 45 minuti di attesa e 45 secondi di colloquio. Mi stringeva la mano
solo perché proprio gliela allungavo.
Lei come era arrivato a Chiesa?
La mia azienda è specializzata
in trattamenti speciali ospedalieri. Eravamo stati segnalati perché siamo
bravi. Lavoravamo al Trivulzio da tre anni.
Quando è arrivata la prima
richiesta di soldi?
Nel 1990, quando abbiamo avuto i
primi appalti consistenti.
Come glieli ha chiesti, i soldi?
Come è abituato a fare lui, con
quattro parole secche: 'Mi deve dare il 10%'. A ogni assegnazione di lavoro,
automaticamente, dovevo portare i soldi, in contanti, dentro una busta bianca.
Anni prima,
appena arrivato a Milano, Di Pietro aveva conosciuto una persona, un piccolo
imprenditore che non era mai riuscito ad affermarsi perché altri – più furbi di
lui – riuscivano sempre a sorpassarlo ricorrendo a mazzette e corruzioni.
Frustrato e rassegnato aveva spiegato a Di Pietro come in linea di massima
funzionava il commercio losco nei rapporti tra la Pubblica amministrazione e il
mondo imprenditoriale di Milano.
Per Di Pietro
la corruzione non era un fenomeno nuovo. Aveva fatto le inchieste sulle carceri
d’oro e sulle patenti facili[3]
e sperava che sarebbe arrivato un incidente che avviasse le indagini a tutto
campo[4].
Mario Chiesa
era stato preso con le mani nel sacco, le prove erano decisive ma la pena
probabilmente avrebbe corrisposto a sette-otto mesi con la condizionale quindi
Di Pietro “dimenticava” di depositare gli atti nei tempi prescritti per la
direttissima per mantenere il caso aperto[5].
Mario Chiesa
era un politico del Psi, in precedenza assessore ai lavori pubblici
della Provincia di Milano e strettamente legato a Bobo Craxi, il figlio del
segretario del Psi, Bettino Craxi; ma il partito era in campagna
elettorale e tentò immediamente di oscurare l’evento. Chiesa era stato espulso,
e definito da Bettino Craxi letteralmente “un mariuolo”. Dopo un mese di
custodia cautelare in carcere, Chiesa crollò e cominciò a parlare. Sapeva che
c’erano stati altri imprenditori che si erano presentati all’ufficio di Di
Pietro per raccontargli che anche loro erano stati costretti a pagare tangenti.
Sapeva che la polizia nel suo ufficio aveva sequestrato un floppy disc
da dove si scoprí che aveva conti bancari in Svizzera, titoli e case al mare. E
soprattutto si sentiva abbandonato e tradito dal partito a cui aveva versato
gran parte delle tangenti. La testimonianza di Chiesa svelò un sistema di
concussioni e corruzioni su larga scala che coinvolgeva prominenti esponenti
della politica, della finanza e dell’imprenditoria[6].
L’indagine
sulla casa di riposo si allargava come i cerchi nell’acqua: si arrivarono a
sapere episodi di corruzione in altri ospizi, in ospedali, all’azienda dei trasporti
pubblici, all’azienda energetica municipale, alla Metropolitana milanese, alla
società che gestiva gli aeroporti di Malpensa e Linate, alle Ferrovie Nord,
alle aziende edili più grandi. Ogni giorno un nuovo arresto e non erano
malavitosi all’ombra della società, ma invece rappresentanti della classe
dirigente: tutti colletti bianchi[7].
Allargandosi
la mappa delle corruzioni, l’inchiesta coinvolgeva soprattutto la Dc e
il Psi ma anche il Partito Comunista Italiano (poi Partito
Democratico della Sinistra) su scala nazionale e tutte le principali
industrie italiane, dalla Fiat alla Olivetti. Nel periodo furono migliaia gli
indagati e centinaia gli arresti: nelle inchieste furono a vario titoli
coinvolti 338 deputati e 100 senatori, quasi 2000 amministratori locali e
regionali, 1373 funzionari, 873 imprenditori privati e grand commis
dello stato[8].
L’effetto
Tangentopoli precipitava sul sistema politico. Alle elezioni legislative del
1992 tutti i partiti del vecchio sistema persero punti, e a quelle del 1994 si
verificò un profondo terremoto elettorale, che comportò un turnover dei
deputati delle camere per il 71%, un rinnovamento radicale della classe
politica parlamentare, e la vittoria d’una nuova coalizione politica, il Polo
delle libertà, Forza Italia, Lega Nord ed Alleanza
nazionale (ex Movimento Sociale Italiano, l’ex partito
post-fascista)[9].
L’inchieste
Come detto
sopra, l’opinione pubblica era abituata a casi di ordinaria corruzione quindi
com’è successo che Tangentopoli è esplosa? Perché non si è riuscito a
delimitare il caso Chiesa con “bandiere gialle” e con l’abituale sistema
dell’insabbiamento delle inchieste?
Le cause
principali del travolgente sviluppo delle indagini sono state: sul terreno
processuale, il nuovo codice di procedura penale del 1989 dove al pubblico
ministero è stata riconosciuta la facoltà di svolgere investigazioni libere,
informali e segrete, senza obbligo di informare la persona sospetta prima che i
sospetti si trasformassero in precisi elementi di accusa. Inoltre il codice ha
riconosciuto la formazione di gruppi di magistrati che coordinassero tra loro
indagini particolarmente complesse . Un tal gruppo era il Pool “Mani pulite” di
Milano[10].
Sul fronte
del riciclaggio internazionale di denaro sporco la Convenzione di Strasburgo
del 1991 si trasformò in un’arma importante, consentendo al magistrato di
inviare una richiesta di informazioni bancarie addirittura al collega straniero[11].
Sul terreno
politico e di costume le date coincidenti delle tornate elettorali erano
significativè. I magistrati che conducevano le inchieste riuscirono a dare un
senso di civiltà, una nuova coscienza colettiva nei confronti del malcostume
politico-affaristico. Seguendo la scia della vittoria della Lega Nord
(partito che si presentava solo nell’Italia settentrionale) e la sconfitta dei
partiti governativi nelle elezioni del marzo 1992, l’offensiva giudiziaria era
obiettivamente garantita e amplificata dalla forza di un attore collettivo non
solo estraneo al vecchio sistema del partito di governo, ma portatore di umori
e di programmi chiaramente anti-statalistici, anti-partitici e
anti-instituzionali e di uno stile populistico d’azione politica[12].
Le indagini sono state accolte con un senso di liberazione anche da chi, per
lunghi anni, era stato nello stesso tempo carnefice e vittima del sistema di
tangenti[13]. “ In
quel periodo, noi arrivavamo la mattina in ufficio e non potevamo entrare
perché c’era la fila delle persone che venivano a confessare”[14].
Nel nuovo
clima politico i magistrati hanno utilizzato i meccanismi offerti dal nuovo
codice per coordinare le inchieste tra le diverse sedi giudiziarie, senza
trovare ostacoli nei paralizzanti conflitti di competenza tra i vari uffici,
che in passato erano stati una delle cause principali dell’insabbiamento delle
indagini sulle illegalità del potere[15].
I magistrati del Pool dimostravano dall’inizio una notevole capacità di
gestione politica delle inchieste e di promozione mediatica, esponendosi
frequentamente sulla scena pubblica allo scopo dichiarato di dare legittimità
democratica alla loro azione[16].
Nel settimanale Il Mondo del gennaio 1994 si trova un’intervista
intitolata: Parla il pool di Mani pulite. Alla domanda se temesse
un’amnistia il magistrato D’Ambrosio rispondeva: ” Ritengo incredibile che
il nuovo parlamento possa varare un’amnistia: perderebbe subito il consenso. La
gente non lo sopporterebbe, tanto più in un periodo in cui sarà chiamata a fare
sacrifici e ad accettare una forte pressione fiscale per sanare una situazione
economica che attribuisce in gran parte alla cattiva amministrazione del
passato”[17]. La
magistratura si trovava improvvisamente circondata e sostenuta da un consenso
sociale che l’incitava a fare pulizia di un sistema di governo corrotto,
inefficiente e non raro colluso con il potere mafioso[18].
Questo appoggio entusiastico tendeva in alcune circostanze ad assomigliare al
tifo da stadio[19]. Senza
dubbio questa atmosfera di consenso pubblico in riguardo alla questione morale
posta dai magistrati del Pool milanese era stata accentuata dalle strage
sanguinosa contro i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nel maggio e
luglio 1992.
Sul terreno
tecnico i risultati stupefacenti delle indagini di “Mani pulite” sono anche
stati facilitati dall’applicazione dell’informatica. Di Pietro eliminava dai
suoi uffici la macchina da scrivere e introduceva il computer, obbligando i
collaboratori a usarlo per scrivere tutti gli atti d’ufficio. In contemporanea
chiedeva alle banche e agli uffici pubblici, che gli fornivano ogni tipo di
documentazione, di spedirgliela anche su supporto informatico. L’informatica ha
consentito ai magistrati di immagazzinare tutti i dati, in modo da incrociarli
e confrontarli rapidamente[20].
Il bandolo
della matassa era il falso in bilancio, dedotto dalla conclusione logica che
quando un imprenditore pagava una mazzetta o una tangente al pubblico
ufficiale, non la prendeva dalla propria tasca ma la tirava fuori dall’azienda.
Per questo l’imprenditore aveva bisogno di fondi neri. Le indagini si
incaricarono di trovare questi fondi neri ed in seguito i relativi beneficiari[21].
Una
tangente, una mazzetta: che cosa sono?
Abbiamo
parlato molto di tangenti o di mazzette ma in realtá che cosa sono? Le
tangenti/mazzetti erano parti d’un sistema con regole proprie e con precise
suddivisioni di ruoli e compiti. Le tangenti le dovevano pagare gli
imprenditori ai partiti politici per ottenere appalti nei diversi ambiti della
pubblica amministrazione: ospedali, case di riposo, Metropolitana Milanese,
settore ferroviario. Le imprese, come d’abitudine, si accordavano per
predeterminare gli esiti delle gare degli appalti evitando la reciproca
concorrenza distruttiva. Un rappresente dell’azienda capofila per ogni appalto
si premurava di raccogliere le somme dovute da ciascuna società della cordata vincitrice.
Poi regolava le pendenze con i diversi partiti, oppure consegnava la tangente
al “cassiere unico” delle forze politiche, il quale poi divideva il bottino con
i colleghi.
Per
raccogliere le tangenti i cassieri aprivano conti bancari all’estero spesso in
Svizzera ma anche off-shore[22].
Per fare
rientrare nel circuito ufficiale i soldi delle tangenti – essendo illecito il
pagamento ai partiti – i movimenti politici rappresentati in Parlamento
preparavano una lista con migliaia di nomi d’aderenti, che le banche
compiacenti usavano per far risultare, ogni giorno, piccole entrate regolari
sui conti ufficiali. Erano versamenti sotto i 5 millioni, quindi leciti[23].
Si può dire
che le tangenti erano una dazione ambientale. Gli imprenditori dichiaravano di
essere stati costretti dai politici a pagare per non essere esclusi dal giro
degli appalti, ma i politici ribattevano che gl’imprenditori imponevano le
mazzette. Il sistema era generale, pervasivo, automatico. Il membro del Psi,
Matteo Carriera, in carcere si giustificava in tal guisa: “Funzionava tutto
cosí, sembrava normale questo sistema. E io ne facevo parte. Era come ricevere
un panettone a Natale. Prendevamo quei soldi e fra noi ci dicevamo: ‘questi ce
li hanno regalati’. Poi ciascuno pensava al suo partito”[24].
Erano somme
altissime. Al segretario amministrativo della Democrazia Cristiana,
Severino Citaristi, l’apparato nazionale risultava dover “costare” dai 60 ai 70
milliardi lire d’anno. Almeno 20 milliardi erano contributi irregolari, ossia
le tangenti. A queste cifre si devono aggiungere le tangenti alle nomenklature
locali di partito, nonché le tangenti raccolte per le proprie tasche da
dirigenti e diversi mediatori.[25]
Nel 1993 il
capo del Psi, Bettino Craxi, in un interrogatorio sulla maxitangente
Enimont, diretto da Di Pietro ammetteva che un cassiere del partito in quattro
anni aveva raccolto 186 miliardi di lire da società ed enti[26].
A livello
nazionale gli effetti di Tangentopoli sono stati devastanti. Nel 1992 un
economista ipotizzava una prima quantificazione dell’iniquo sistema. Il giro
d’affari della corruzione può essere valutato attorno ai 10.000 miliardi di
lire all’anno, generando un indebitamento pubblico tra 150.000 e i 250.000
miliardi di lire, con 15-25.000 miliardi relativi interessi annui sul debito.
In realtà le tangenti sono state pagate dalle casse pubbliche perché,
paralizzate le forze del mercato, la spesa era gonfiata . Era un sistema di
“capitalismo senza mercato”[27].
Nel capitolo
seguente vedremo come quella sperequazione economica alimentava la spirale del
deficit e dell’indebitamento, e aggravava il problema dei governi di sostenere
la società del benessere e con ciò il consenso popolare.
Come è
avvenuto il crollo del sistema politico italiano?
Gli autori
del libro Il gigante dai piedi di argilla citano il capolavoro critico
della rivoluzione francese, L’antico regime e la rivoluzione, del
celebre storico Alexis de Tocqueville, come punto di partenza per spiegare il
crollo del “party government” in Italia.
L’inchiesta
“Mani pulite” era favorita da un’onda popolare anti-politica contro abuso
d’ufficio, mazzette, frode ed arroganza. Come mai in passato, invece, erano
stati accettati gli stessi “privilegi”? La risposta che dà lo storico francese
è chiara: sino al momento in cui a quei privilegi corrispondeva lo svolgimento
di funzioni essenziali per la società, cioè un reale ruolo di governo, il loro
carattere arbitrario poteva restare poco rilevante; ma nel momento in cui
l’aristocrazia (in Italia: i partiti) ebbe perduto quel ruolo, tutta l’odiosità
provocata dai privilegi, risultò insopportabile[28].
In sostanza
si cerca di capir meglio come la forza dei partiti si sia progressivamente
tramutata in debolezza producendo appunto un “gigante” per estensione e
pervasività della penetrazione partitocratica nella vita pubblica italiana –
però “ dei piedi di argilla” per la sua crescente impossibilità a governare[29].
Le elezioni
nazionali del marzo 1994 manifestarono l’eliminazione d’una élite
politica e il crollo del vecchio sistema di governo partitocratico. La crisi ha
più duramente colpito i partiti di governo, cioè quelli che, in un sistema
senza alternanza, per quarant’anni erano stati il cuore del sistema di
reggenza. La Democrazia Cristiana, la colonna portante di tutto
l’apparato esecutivo, si è ridotta a un piccolo partito a livello parlamentare
con 5% dei seggi, ed in seguitò subì un’ulteriore frammentazione. Il Partito
Socialista Italiano sparì in pratica con 2% dei voti. I tre laici minori,
Partito Repubblicano Italiano, Partito Liberale Italiano e Partito
Social Democratico Italiano si dissolsero. Il Partito Comunista Italiano,
nella sua “reincarnazione” post-89 – Partito Democratico della Sinistra
– non riuscì ad accreditarsi come alternativa di governo.
Il vuoto
politico fu colmato da nuovi partiti – o prima marginali di centro destra – Forza
Italia, Alleanza Nazionale e Lega Nord[30].
Ma come è
avvenuto questo crollo di un sistema partitico che durante quarant’anni era
stato in grado di reggere le gravi sfide sia politiche che economiche?
Una debolezza
del sistema politico, era il “Party government” all’italiana o “Arco
Costituzionale” basato sulle comuni origini antifasciste, maturate ai tempi
della Guerra di Liberazione contro i nazi-fascisti. Si può dire che il governo
era al guinzaglio dell’“Arco Costituzionale”, in cui la matrice comunista,
rispecchiava l’acquiescenza dell’appartenenza dell’Italia alla NATO, ma al
contempo riscuoteva tangenti e finanziamanti sia nelle regioni rosse del Paese,
che direttamente dalla Madre Patria sovietica. Quando Craxi fece la famosa
chiamata in correo, ‘chi non ha mai peccato scagli la prima pietra!’, dai
banchi del Parlamento, nessuno si alzò per dire: “Io sono innocente”.
I partiti
della maggioranza e quelli dell’opposizione, sempre d’accordo sulle leggi di
bilancio per decenni, fornivano al governo indicazioni precise e vincolanti su
presidenti, dirigenti e grandi burocrati di banche, aziende, istituzioni ed
enti pubblici. La lottizzazione delle nomine partitocratiche ha condotto
l’opinione pubblica a identificare, con i partiti, un ambito larghissimo
burocratico riversando, e giustamente, su questi movimenti le responsabilità di
tutte le disfunzioni emergenti dagli uffici pubblici. Un altro problema era che
le persone nominate erano fuori un vero controllo perché spesso è avvenuto che
erano i nominandi a scegliere il partito nel cui nome candidarsi[31].
La crisi del
governo-partiti fra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta
soprattutto derivava da due cause.
Per prima
cosa la caduta dei regimi communisti dell’Est e la fine del sistema
internazionale bipolare; la Guerra fredda ha eliminato 1) il fattore K
(l’anticomunismo viscerale) e 2) il principio del governo bloccato (o
competizione bloccata). Questi due concetti erano il risultato della “guerra
fredda”.
Nel luglio
del 1946 De Gasperi formò un governo di coalizione con DC, PSI, PCI e PRI. Fu
merito di questi partiti l’elaborazione della costituzione repubblicana, che
entrò in vigore nel 1948; ma la collaborazione era già terminata nel 1947 quando
De Gasperi formò il suo quarto governo escludendo PSI e PCI. Le elezioni
politiche del 18 aprile 1948 si svolsero in un clima acceso. Nel 1947 il
presidente statunitense Truman aveva lanciato la sua “dottrina”. Nel febbraio
1948 ci fu il colpo di Stato comunista a Praga, e la campagna elettorale dello
scudo crociato (il simbolo della DC) contro il Fronte Popolare
(PSI+PCI), sfruttatava la “paura” che quanto era accaduto a Praga potesse
ripetersi a Roma. Dai pulpiti i sacerdoti pronunciavano filippiche contro il
Fronte e la minaccia alla libertà dell’uomo e propria della Chiesa, che i
socialcomunisti invocavano[32].
La DC guadagnò la maggioranza e De Gasperi formò una coalizione governativa con
liberali, repubblicani e socialdemocratici: una formula di “centrismo” che
indicava un’area di governo circoscritta ai partiti democratici, con esclusione
delle Sinistre. Negli anni Sessanta sotto la leadership di Pietro Nenni,
il PSI prese le distanze dal PCI e si aprì la strada ai governi di
centro-sinistra. Il PCI, nella propria obbedienza a Mosca, restava escluso.[33]
Un ulteriore
fattore determinante era una situazione di bilancio critica, nonché il
coincidere del forte deficit con i vincoli posti dal processo di integrazione
europea: tutto ciò si sarebbe riversato pesantemente sulle risorse disponibili,
per premiare gli elettori dei partiti e definire soluzioni adeguate ai bisogni
delle riforme istituzionali, delle politiche di bilancio, delle politiche
sociali (dalla sanità alle pensioni) e delle privatizzazioni[34].
In tal stato
di debolezza e vulnerabilità la Magistratura affiancata e sostenuta dalla
stampa, ed all’inizio pure dalle nuove forze politiche, lanciò il suo attaco
contro il clientelismo dei vecchi partiti.
Le elezioni
nazionali del 1992 hanno segnalato un serio abbassamento della fiducia politica
nei vecchi partiti, e ciò deve essere considerato un fattore fondamentale
nell’aprire la strada ai giudici, che, resi meno deferenti di fronte ad un ceto
politico in evidente crisi, facevano emergere la mancanza di credibilità, e
quindi di legalità etica del sistema politico-amministrativo.[35]
Il
riflusso
Nei primi due
anni, lanciando la questione morale i magistrati cavalcavano un’onda di
irresistibile successo. Man mano, però, si formava un blocco di resistenza
intorno al capo di Forza Italia, Silvio Berlusconi, che a Napoli era stato
raggiunto da un avviso di garanzia durante un consesso internazionale contro la
criminalità organizzata. Berlusconi denunciava un complotto politico e una
persecuzione giudiziaria nei suoi confronti e lanciava dalle sue emittenti
televisive Fininvest, un attacco contro le “toghe rosse” che avevano ordito un
complotto comunista per fomentare un golpe giudiziario[36].
La
politicizzazione della questione morale risultava nella formazione di due blocchi
nei confronti della questione giustizia, ed il risultato era una tendenziale
convergenza tra governo e opposizione su una linea tendente a ridisegnare
l’equilibrio dei poteri modificando il rapporto costituzionale tra legislazione
e giurisdizione; quindi riconducendo il potere giuzidiario sotto il controllo
della politica di qualsiasi colore politico fosse. Alla fine, invece il governo
di centro-sinistra dava la stura ad una serie di provvedimenti legislativi che,
con il sostegno di tutte le parti politiche, rappresentavano un condono più o
meno indolore per i reati di Tangentopoli[37].
Nel periodo
in questione la battaglia tra politici e magistrati erano incentrate intorno
alle decisioni della sottocommissione, che nell’àmbito della Commissione
bicamerale per le riforme costituzionali, nominata nel 1997, sotto la
Presidenza del Secretario Nazionale di Pds, Massimo D’Alema, doveva affrontare il cosiddetto “pacchetto
giustizia”. Senza una restituzione del potere giudiziario sotto il controllo
della politica e una garanzia del suo futuro legale, il lavoro della
commissione bicamerale sarebbe stato bloccato da Berlusconi[38].
Il risultato
fu una riforma della custodia cautelare, abolizione del reato di abuso
d’ufficio, riforma dell’art. 513 del codice di procedura penale, la
depenalizzazione del finanziamento illecito dei partiti, una revisone del reato
di falso in bilancio[39].
Nelle Memorie
di un procuratore a Francesco Borrelli, ex-capo del pool “Mani pulite”, è
stata posta la domanda: “Vi aspettavate che il centrosinistra vi trattasse cosi
male?”, risposta: “Sí. Perché il problema non è di destra o di
sinistra. Il vero problema investe il rapporto fra il potere e la legalità”[40].
Dieci anni
dopo l’inizio di “Mani pulite” Piercamillo Davigo, lo stratega del pool “Mani
pulite” esprime il seguente commento su Tangentopoli: “Dal ’92 a oggi il
sistema ha fatto di tutto contro i magistrati, ma non ha fatto nulla contro la
corruzione e le sue cause... Da dieci anni la classe politica si illude di
curare la febbre modificando la scala del termometro. Cosí fa credere che la
febbre non ci sia”[41].
Conclusione
Secondo il
più noto magistrato del pool milanese, Di Pietro, l’operazione “Mani pulite”
era una bomba pronta di esplodere sotto il sistema di corruzione e concussione
del mondo affaristico e dell’amministrazione pubblica, ma resta da spiegare
perché esplose quella bomba.
Le cronache
ci offrono un’idea sbagliata, ossia che “Mani pulite” fosse stata avviata per
puro caso, poiché Mario Chiesa era stato preso in flagrante.
Considerando
che la corruzione e la concussione certamente non erano concetti sconosciuti in
Italia, come in qualsiasi altra parte del mondo, dobbiamo trovare un ventaglio
di spiegazioni più ampio per concepire la reazione a catena, “Mani pulite”, che
negli anni Novanta fece crollare il vecchio sistema politico, i più grandi
partiti politici, in breve La Prima Repubblica.
Per ciò che
concerne la definizione Prima Repubblica, è assolutamente necessario
ribadire che è un termine più che altro giornalistico ed usato a sproposito.
Nella storia giuridico istituzionale di ogni Stato del globo si parla di Repubblica
successiva (ad esempio, Francia: prima [1792-1804], seconda
[1848-1852], terza [1870-1940], quarta [1947-1959], quinta
[1958-ad oggi]; Spagna: prima [1873-1874], seconda [1931-1939];
Albania: prima [1924], seconda [1925-1928], terza
[1946-1992], quarta [1992-ad oggi], ecc.) solo quando ad una Costituzione repubblicana fa seguito
un’altra. In Italia questo non è successo, e la Costituzione, che abbiamo
visto sopra, risulta ancora in vigore, e modificata solamente per far entrare
in Italia i discendenti di quella famiglia reale, i Savoia, che si resero
colpevoli: prima dell’avvento del fascismo; poi delle leggi razziali,
firmate da Vittorio Emanuele III; e infine del trascinamento in guerra
di Mussolini a fianco dei nazisti di Hitler. Perciò i termini Prima
Repubblica e “Seconda Repubblica” sono solo un espediente linguistico
adoperato dalla stampa, per definire una pura cesura di costume e nient’altro.
La tesi di
questa relazione è che la società italiana era pronta a cambiare. La vecchia
oligarchia se n’è stata per lungo tempo distante dalla società reale, racchiusa
in una torre d’avorio che la tenesse lontana dai cittadini, senza contatto con
l’uomo della strada, e solamente preoccupata di rimanere al potere. I mezzi
economici per assicurarsi il consenso degli elettori, si esaurirono negli
sforzi per adattare il bilancio alle esigenze dell’Unione Monetaria Europea al
fine degli anni Ottanta e i primi Novanta : il primo segno di ciò fu l’esito
delle elezioni ’92. Aggiunta alla crisi economica, l’esazione coattiva da parte
dei partiti politici di somme enormi ed illecite (le cosidette mazzette),
causate dai grandi appetiti di apparati opulenti, risultò insopportabile per
gli imprenditori della classe media.
Quando fu avviata l’operazione “Mani pulite”, essa rappresentava un’ondata
cavalcata dall’entusiasmo populare, da una stampa impegnata e all’inizio anche
con il sostegno di forze nuove o prima marginali: Forza Italia, Lega Nord e
MSI, messesi in prima fila, e
desiderose di scendere in campo.
Le indagini erano condotte dinamicamente dal Pool di Milano: si favorì
l’indebolimento del potere politico, l’applicazione dell’informatica e una
migliorata cooperazione internazionale in riguardo allo scambio di informazioni
di trasferimenti di denaro a fondi neri.
Durante la guerra fredda la Democrazia Cristiana, il partito dei cattolici
e l’alleato del Vaticano, come il polo opposto dell’egemonismo ateo del Partito
Comunista, erano stati gli aghi della bilancia di ogni governo. La competizione
intorno del sistema politico era bloccata e sostituita da un sistema di
clientele rigide, ma con la caduta del Muro di Berlino la competizione si sciolse
dagli equilibri e alle elezioni della primavera 1992 ci fu un primo segno di
spostamento delle opinioni dell’elettorato. Tutti i vecchi partiti persero
voti, alcuni sparirono.
Come un’onda d’urto “Mani pulite” scosse la classe dirigente, che fu identificata
dalla gente come un gruppo di malavitosi. La minaccia di custodia cautelare e
“il tintinnare delle manette” causarono lo sgretolamento dell’omertà, e
parlamentari e imprenditori a centinaia risultarono imputati.
Le elezioni del 1994 spazzarono dall’aja il vecchio regime, e il vuoto
politico fu riempito dalla Casa della Libertà, l’alleanza tra Forza
Italia, Lega Nord e MSI. La cosiddetta Prima Repubblica
cadeva, ma la Seconda ancora non nasce giuridicamente.
Man mano le indagini si avvicinavano al Presidente del consiglio, Silvio
Berlusconi, che contraccambiava la sfida dei magistrati con una campagna
mass-mediatica di Fininvest contro le “toghe rosse” e un cambio dell’“ordine
del giorno”: “Mani pulite” non più quale problema morale, ma giuridico/politico,
per condurre un potere politico legittimato in Parlamento.
Alla fine del 1994 Berlusconi si dimise. Negli anni seguenti il costo della
collaborazione di Forza Italia nella Commissione Bicamerale presieduta dal
Segretario Generale del PDS, Massimo d’Alema, era il riconsiderare l’esigenza
di “immunità” generalizzata per la classe politica. Una sottocommissione avanzava
una serie di provvedimenti giuridici che in realtà creavano una amnistia generale
per i condannati di Tangentopoli.
Il pallone si
era sgonfiato. L’uomo nella strada aveva altri problemi a cui pensare: prezzi
alle stelle, disoccupazione e riforma dell’ordinamento pensionistico.
Postfazione
Non essendo
l’italiano la mia lingua madre, sono molto riconoscente agli autori dei libri
in bibliografia, i quali hanno svolto, inconsapevolmente, il doppio ruolo di
illustrare i fatti storici e offrirmi un linguaggio adeguato.
Riferimenti bibliografici
Testi
Gianni Barbacetto, Peter Gomez, Marco Travaglio, Mani pulite, La vera storia, Editori Riuniti, Roma, 2002
Maurizio Cotta e Pierangelo Isernia (a cura di...), Il gigante dai piedi di argilla , Il Mulino, Bologna, 1996
Gabriele De Rosa, Storia contemporanea, Minerva Italica, Milano, 1982, 3ª ed.
Pietro Folena, Il tempo della giustizia, Magistrati e politica nell’Italia che cambia, Editori Riuniti, Roma, 1996; P.F. è stato segretario regionale del Pds in Sicilia
Paul Ginsborg (a cura di...), Stato dell’Italia, Mondadori, Milano, 1994
Sergio Romano, Il denaro dei partiti e la classe dirigente irresponsabile, ne I volti della storia. I protagonisti e le questioni aperte del nostro passato, Rizzoli, Milano, 2001
Sergio
Romano, L’Italia verso una IIª Repubblica? in Breve corso di storia
patria ad uso dei non politicamente corretti, CIDAS-Leonardo Facco Editore,
Treviglio (Bg), 2004
Silvano Belligni, (una dissertazione di...),
(http://geocities.com/CapitolHill/5356/tangent.htm?200515)
Vari articoli dalla rete
e dalla Handelshøjskolens bibliotek, København
L’autore di questo articolo non
scrive per conto dell’Università di Århus ma effettua gli studi presso il
Dipartimento di Romanistica. Commenti o domande riguardanti questioni danesi
sono graditi.
Schwaner@stofanet.dk
© 2005
[1] Antonio Di Pietro: Intervista su
Tangentopoli a cura di Giovanni Valentini p 3
[2] Gianni Barbacetto, Peter Gomes, Marco
Travaglio: Mani pulite p 9-11 (7 mill. lire ammontano a cerca 27000 d.kr. e
erano solamente metà della mazzetta (1000 lire=ca 3,80 d.kr).
[3] Carceri d’oro: un giro di tangenti legato alla
costruzione delle super carceri nel 1987.
Patente
facile: Si pagava sottobanco per ottenere la patente più facile all’esame di
guida
[4] Di Pietro: Intervista p 9 e p 29
[5] Di Pietro: Intervista p 5. Di Pietro insiste
che l’omissione era un fatto di strategia per vincere tempo ma sarebbe un
motivo a posteriori
[6] Mani pulite p 14-16
[7] Mani pulite s 21-22
[8] Magistrat i politici p 3
[9] Il gigante p 375 -381
[10] Stato dell’Italia a cura di Paul Ginsborg p
527. Facevano parte del Pool milanese:Antonio di Pietro, Gherardo Colombo,
Piercamillo Davigo,il coordinatore d’Ambrosio, il Procuratore capo Francesco
Borrelli. di Pietro p 9-11
[11] Di pietro p 20-21
[12] Magistrati e politici p 4
[13] Stato del’Italia p 527
[14] Di Pietro p 37
[15] Stato dell’Italia p 527
[16] Magistrati e pubblici p 4
[17] Il mondo 10/17 gennaio 1994
[18] Stato dell’Italia p 479
[19] Magistrati e politici p 4 Mani pulite pp 33
[20] Di Pietro pp 30-36
[21] Di Pietro p 43
[22] pp 24-26
[23] Mani pulite p 31
[24] Mani pulite p 22, pp 29-30
[25] Mani pulite p 31
[26] Mani pulite p 162 ( ca. 700 mill.d.kr )
[27] Mani pulite pp 32-33
[28] Il gigante p 8
[29] Il gigante p 9
[30] Il gigante pp 11-13
[31] Il gigante pp 20-24
[32] Harder: Italien p 191 (Scena in Divorzio
all’Italiana)
[33] De Rosa: Storia contemporanea pp 412-420
[34] Il gigante pp 46, 396
[35] Il gigante pp48
[36] Magistrati e politici pp8-10
[37] Magistrati e politici pp10 La ”controriforma”
della sinistra
[38] Ginsburg Italy pp314-315
Vicepresidenti: Elia PPI, Urbani Forza Italia, Tatarella AN
[39] Magistrati e politici p 11
[40] Mani pulite p 697
[41] Mani pulite p 677