Luigi Sapio
(Scuola Superiore
di Studi Universitari e di Perfezionamento SantAnna - Pisa)
PROLEGOMENI AL DIRITTO MUSULMANO
LIslâm, dopo il massiccio impatto mediatico
dell11 settembre, è ormai al centro di un interesse che appare caratterizzato
da una certa ambiguità. Se da una parte, infatti, vediamo schierati i solerti
paladini di un occidente cristianamente laico o laicamente
cristiano, assurto apoditticamente a fonte universale di valori assoluti
(se i rapporti di forza fossero diversi, non si potrebbe forse parlare di integralismo
occidentale?), dallaltra certo non manca chi è pronto a difendere
a oltranza, altrettanto apoditticamente, le ragioni del contendente.
Tra i due estremi vi è, infine, una serie di luoghi comuni pubblicamente sbandierati
da sedicenti esperti. Fare chiarezza su questo mondo, per molti
sconosciuto, è possibile solo a condizione di analizzare il fenomeno nella sua
complessità, senza schierarsi aprioristicamente per una o per laltra parte.
In primo luogo va precisato che il termine arabo islâm
proviene dalla radice sallâma (II forma di salâma),
che significa «sottomettersi (a Dio)», comune anche alla parola
salâm, che significa «pace» (concetto suscettibile
di variazioni semantiche condizionate dagli stessi contesti di riferimento,
con apprezzabili divergenze allinterno dello stesso Islâm, dove
non mancano i sostenitori di una pax islamica che presenta aspetti alquanto
inquietanti). Tale sottomissione è totale e coinvolge (almeno come elemento
fondante, e quindi vincolante, la stessa Umma, i.e. «la Comunità
islamica») tutti gli aspetti della vita individuale e sociale delluomo.
Religione, politica, diritto, cultura, economia, morale, non sono che epifenomeni
di una sola realtà unificata, almeno da un punto di vista programmatico, dalla
sottomissione stessa. Le modalità essenziali di questa sono contenute nel «Libro»
(il Corano), rivelato da Dio (in arabo: Allâh) allultimo
dei Profeti, Muhammad, nella Penisola araba (in particolare tra La Mecca e Yatrib,
ribattezzata poi, in suo onore, Madînat an-Nabi, i.e. «la
città del Profeta»), tra il 610 e il 632 (anno della sua morte) dellèra
cristiana. Il musulmano (in arabo muslim, i.e. «colui che è sottomesso»)
ha quindi la sua stessa esistenza integralmente plasmata, almeno da un punto
di vista deontologico (che, almeno formalmente, non ammette bida
i.e. «innovazione», potenziale fonte di eresia) dai precetti della
arîa, che egli deve seguire conformando ad essa il
proprio agire. La arîa significa, letteralmente «la
via», rivelata da Dio alla «Gente del Libro», compresi quindi
Ebrei e Cristiani, ma in senso meno ampio «la via» rivelata ai soli
Musulmani con la Rivelazione ultima, e quindi perfetta e definitiva, dello stesso
Corano, comprendente sia le prescrizioni relative al «foro interno»
(che comprende gli amâl al-qalb, i.e. «gli atti del
cuore»), sia quelle concernenti il «foro esterno» (che comprende
gli amâl al-badan, i.e. «gli atti del corpo»).
In un senso ancora più stretto, la arîa indica, infine,
il solo «foro esterno», che coincide col fiqh, corrispondente
almeno in certa misura a ciò che noi definiamo «diritto», una volta
sottratte le norme relative al culto (ibâdât).
Da questa concezione tendenzialmente totalizzante
dellesistenza umana consegue, come naturale corollario, una spiccata vocazione
del musulmano ad una vita comunitaria in cui lindividuo svanisce nel tessuto
sociale, ed in cui i diritti individuali sono percepiti, e quindi riconosciuti,
solo se compatibili col modello di società islamica (i.e. «sottomessa»
a Dio). Presupposto essenziale di questo tipo di società è lesistenza
di un forte potere politico garante dellortodossia. Alle origini, tale
figura era incarnata dal khalîfa (il Califfo), che, allo
stesso tempo, era anche lAmîr al-Muminîn (il
«Principe dei Credenti»), sulla base, in un primo tempo, di una
legittimazione di tipo contrattuale, che si estrinsecava nella baya
(«omaggio alla persona scelta dalla Comunità dei Credenti o dai suoi rappresentanti
qualificati ed insieme promessa di obbedienza»), e, successivamente, su
base dinastica. Al momento della disgregazione politica della Umma, si
ha la proliferazione degli ordinamenti giuridici allinterno del territorio
islamico (la c.d. dâr al-Islâm, i.e. «casa dellIslâm»),
e poi la costituzione, a conclusione del processo di decolonizzazione, di entità
statuali poco conformi al modello islamico, mutuate dallesperienza politica
occidentale, e quindi sostanzialmente estranee al suo sostrato culturale più
profondo. Risultato è un ibrido in cui coesiste una inestricabile commistione
di elementi preislamici (veicolati da ataviche consuetudini tuttora più o meno
vitali), elementi islamici (presenti nella arîa e relativamente
variabili in funzione dellappartenenza, rispettivamente, allIslâm
sciita, kharigita o sunnita, questultimo articolato nei quattro madhab
malikita, hanafita, sciafiita e hanbalita) ed elementi derivanti dallacculturazione
coloniale e post-coloniale (che permeano in prevalenza la legislazione positiva
moderna). Tale stratificazione giuridica, presente nel Mondo islamico, non risulta
tuttavia omogenea, in quanto ogni ordinamento è costituito dalla risultante
delle tre componenti, diversamente combinate tra loro a seconda del Paese, e,
allinterno dello stesso Paese, a seconda dellistituto giuridico.
Ne consegue comunque una serie di ordinamenti in cui il sistema delle fonti
del diritto è particolarmente complesso e, tuttavia, non sempre percepito come
la risultante di questa stratificazione.
Abbiamo così un ventaglio di situazioni diverse, determinate
da differenti fattori, di tipo storico, etnico e religioso. La prima importante
distinzione è tra Paesi islamici arabi (che rappresentano un quinto della popolazione
mondiale di fede musulmana, i.e. circa 200 milioni su oltre un miliardo) e Paesi
islamici non arabi. Ulteriore elemento consiste nella presenza di altre comunità
religiose, diversamente rilevanti in funzione della loro appartenenza o meno
alla c.d. Ahl al-Kitâb, la «Gente del Libro», ossia
coloro che sono stati destinatari di Rivelazioni divine (Ebrei e Cristiani,
e, per estensione, Zoroastriani ed Hindu). Nella concezione «sciaraitica»
del diritto, lelemento personale, consistente nellappartenenza alla
Umma islamica, costituisce elemento scriminante ai fini dellapplicazione
delle norme relative a persona, famiglia e successione. È così consentita la
coesistenza di altri Statuti personali rispettosi delle diversità di ordine
religioso, sottoposti alla cognizione delle giurisdizioni non islamiche (Tribunali
diocesani, rabbinici, etc.), realtà non riscontrabile nella storia della cristianità,
per la demonizzazione del diverso, i cui diritti (quando nella più
fortunata delle ipotesi era tollerata la sua esistenza fisica) venivano
ignorati o negati. Con lavvento del modello occidentale di Stato, il diritto
vede come suo destinatario non più la persona (consentendo un diverso trattamento
a seconda dellappartenenza religiosa), ma il territorio, elemento di omologazione
della comunità insediatavi. Con lavvento dei nuovi Stati indipendenti
, in ossequio alla concezione delluguaglianza formale ed astratta propria
della borghesia europea post-rivoluzionaria, la giurisdizione viene quasi ovunque
unificata e i Tribunali speciali, competenti a conoscere degli Statuti personali,
soppressi. La diversità è paradossalmente fatta salva proprio nella misura in
cui, almeno nel diritto sostantivo, permangono influssi «sciaraitici».
Si tratta in definitiva di società in cui, come abbiamo
sottolineato, il momento religioso e quello politico non sono facilmente distinguibili
sia negli individui sia nella comunità, risultando, per così dire, due facce
della stessa medaglia. Le Costituzioni di tutti i Paesi arabi, infatti, riconoscono
lIslâm come religione di Stato. Il Sultanato dellOman non
dispone di una Costituzione, ritenuta in contrasto con la consapevolezza che
la Fonte giuridica di rango supremo è il Corano, opera sublime del Legislatore.
LArabia saudiana, a sua volta, solo nel 1992 si è dotata di una Costituzione,
definita «regolamento costituzionale» (al-nizam al-desturi),
ritenuta la sua natura regolamentare rispetto alla Legge per eccellenza. Daltra
parte, il Codice egiziano del 1948, opera del grande giurista as-Sanhuri, allart.
1 include espressamente la arîa tra le fonti del diritto,
riconoscendo però, rispetto ad essa una posizione di preminenza non solo alla
legge dello Stato, ma anche alla consuetudine. Dei Codici ispirati al modello
egiziano, alcuni ripetono lo stesso schema, seguendo lo stesso ordine, altri,
invece, come, ex. gr., quelli libico ed algerino, pospongono la consuetudine
alla sharia.
Tuttavia, lassenza di una struttura ecclesiale,
di un clero gerarchicamente organizzato, come nei nostri Paesi cattolici, è
garanzia di non ingerenza, nei momenti politicamente significativi, di una Chiesa
nelle vicende dello Stato.
La concezione «califfale» della sovranità
islamica è forse la peculiarità che va più delle altre approfondita nel momento
in cui si giudica della maggiore o minore democraticità dei regimi
islamici, prendendo a parametro di riferimento il modello occidentale dello
Stato di diritto. Il Califfo costituiva infatti la guida (imâm)
suprema dellintera Umma islamica e, al pari dellimâm
di una qualsiasi moschea, che ha la funzione di dirigere e coordinare le preghiere
dei fedeli, aveva come missione quella di garantire ledificazione di una
società islamica rispettosa dei precetti «sciaraitici». Nel fare
questo egli disponeva di ampi poteri comprensivi di quelli legislativo (che
però risultava attività di natura amministrativa, quindi regolamentare rispetto
allunica Legge, consistente nella Rivelazione divina contenuta nel Libro),
esecutivo e giudiziario. Egli non era tuttavia, al pari del Sovrano di ancien
régime, legibus solutus (i.e. esonerato dal rispetto della
legge), poiché lobbligo di obbedienza veniva ipso jure meno in
caso di abuso di potere rispetto agli stessi principi «sciaraitici».
Tale esperienza politica contribuisce a determinare quello
che potremmo definire «inconscio politico collettivo» che, se da
una parte spiega listinto comunitario delle società islamiche (con tutti
i suoi risvolti che visti con occhiali occidentali possono apparire
non solo positivi, ma anche negativi), dallaltra ci fa capire la natura
sostanzialmente autoritaria e paternalistica, determinante uno spiccato culto
del raîs di turno, che è dato riscontrare, in misura maggiore
o minore, nei regimi dei diversi Paesi islamici, compresi quelli formalmente
democratici. I diversi Tribunali sedicenti islamici,
raramente godono, in effetti, di una legittimazione «sciaraitica»,
che sola può provenire dalla delega (ai qâdî) dei
poteri giudiziari del khalîfa (o la figura che oggi si ritiene
equipollente, dopo la soppressione formale del Califfato sancita nel 1924, la
quale, a seconda delle diverse situazioni ed opinioni, può oggi essere costituita
da un Re, un Presidente della Repubblica, il Capo di una determinata Comunità,
Regione o Villaggio, che godano di una sufficiente sovranità). È importante,
altresì, sottolineare come non sempre i suddetti Tribunali applichino
correttamente le norme «sciaraitiche» (vedi, ex. gr., il
requisito richiesto per la condanna di adulterio della presenza al fatto di
almeno quattro testimoni oculari!).
Possiamo, in conclusione,
ravvisare nelle società musulmane la sussistenza di quelle peculiarità forti
che le caratterizzano e che le rendono diverse e non sempre omologabili alla
visione monolitica dellhomo occidentalis che riduttivamente ammette
come unico modello di civiltà superiore la propria, procedendo con
sempre maggiore determinazione sulla strada dellacculturazione più o meno
forzata, soprattutto in un momento storico come il nostro, che vede il fenomeno
della c.d. globalizzazione come occasione di penetrazione economica e culturale
di Paesi globalizzanti nei confronti di Paesi globalizzati privi
di efficaci strumenti di resistenza. La sottrazione, in diversa misura a seconda
dei casi, di sovranità rispetto a questi ultimi non avviene, infatti, a vantaggio
di un governo mondiale che riconosca, a tutti i popoli e a tutte le culture
che di questi sono espressione, pari dignità, ma nella direzione di un mercato
che è emanazione delle Potenze globalizzanti.