Carlo
Piccardi
(Musicologo)
IL DRAMMA LITURGICO MEDIEVALE
Unesigenza di drammatizzazione
è rilevabile fin nelle radici più remote del canto di chiesa. Allinizio
fu il semplice canto responsoriale dove il popolo interveniva con brevi ritornelli
alla fine del recitativo del celebrante: poi fu la volta del canto antifonico
che, originato in Persia, attraverso lAntiochia conobbe una vasta diffusione
in occidente nella forma dellalternanza tra due cori. Ma in realtà la
stessa regolamentazione dellapparato liturgico (nei sermoni, nelle processioni,
nella messa) già sottendeva una dimensione drammatica che, svolgendo in forma
rappresentativa le manifestazioni di culto, mirava chiaramente a un coinvolgimento
il quale, facendo leva su meccanismi psicologici elementari, sollecitava lattenzione
ben oltre la semplice testimonianza dellatto di fede. Anzi cè da
chiedersi se la messa, intesa come momento di partecipazione collettiva al culto,
avrebbe senso se fosse compresa solo come svolgimento simbologico di una sostanza
concettuale la quale invece, articolandosi nella gestualità di un discorso rappresentativo,
stabilisce un rapporto comunicativo capace di demolire ogni forma di preclusione
intellettualistica e di raggiungere indistintamente il livello di comprensibilità
più diretto. Lo sviluppo del canto liturgico sta a testimoniarlo.
Se nei tre secoli che dalla riforma ascritta a Gregorio Magno (eletto papa nel
590 e morto nel 604) vanno fino al periodo in cui per la prima volta è documentata
la pratica dei tropi il canto romano fiorisce come manifestazione esclusiva
di una religiosità dimensionata al carattere universale della Chiesa
nei termini di una lingua ufficiale promulgata in opposizione al dialetti rappresentati
dalle liturgie regionali (mozarabiche, gallicane, ecc.) estirpate da preciso
calcolo imperialistico , a lungo andare lastratta immutabilità del
culto fu intaccata dallesigenza di un rapporto meno mediato, che lo sviluppo
degli inni e delle sequenze già avevano raggiunto nella simmetria strofica e
nellandamento sillabico derivato dal ritmo accentato che la lingua parlata
aveva affermato sulle proporzioni di quantità del latino dotto.
Verso 1850 Notker Balbulus riferiva della venuta a San Gallo di un monaco
di Jumièges, il quale gli aveva fatto conoscere un antifonario in cui, sotto
i vocalizzi alleluiatici, erano disposti sillabicamente dei versetti. Tale procedimento,
oltre a introdurre un diverso peso specifico nella siderea struttura melismatica
della melodia, apriva profonde prospettive di trasformazione nel codificato
ordine gregoriano che, dalla semplice pratica dei tropi, condusse fino
alla polifonia. La pratica dei tropi, dalliniziale modifica del
testo, portò ben presto infatti a forme di composizione autonome che
prescindevano dal repertorio liturgico ufficiale; e non è un caso che da tale
articolazione espressiva maturasse il concetto del dramma liturgico, sorto esso
pure, come tutto il filone delle forme musicali del Medioevo, dal principio
di trasformazione degli aspetti formali della liturgia.
Molti tropi infatti contenevano dialoghi che, essendo intonati in modo
antifonico, potevano essere sviluppati in drammatizzazione vera e propria. A
un tropo pasquale, attribuito a Tutilone da San Gallo e nella sua forma
più antica contenuto in un manoscritto del monastero di San Marziale di Limoges
databile nei primi decenni del X secolo, si fa risalire lorigine del dramma
liturgico. Si tratta del tropo Quem queritis, articolato
in dialogo tra gli angeli di guardia al sepolcro e le Marie chiamate a compiere
il loro atto di devozione sulla tomba del Cristo. Sviluppato in ufficio drammatico,
con il titolo Visitatio sepulchri il Quem queritis
ritrova in almeno 400 manoscritti sparsi per tutta Europa, dallInghilterra
allItalia dei Sud, dalla Spagna alla Polonia. Come poteva la Chiesa, cosi
severa verso il concetto e il ruolo sociale del teatro, ammettere uno sviluppo
del genere? II fatto è che il latino era diventato sempre più una lingua incomprensibile
al popolo, per cui a partire dai procedimenti allegorici fino alla teatralizzazione
vera e propria tutto diventava accettabile in funzione di una più stretta adesione
al momento liturgico. Sul principio della Visitatio sepulchri prese forma
il dramma natalizio il quale, come Officium pastorum, pure si fondava
su un tropo modellato sullesempio del Quem queritis,
ovviamente con i pastori al posto delle Marie. Allinizio esclusivamente
basato sulla scena del presepe e quindi piuttosto statico, lOfficium
pastorum fu seguito dallOfficium stellæ, che integrava
allazione i tre Magi, acquistando notevolmente in spunti scenici. Una
vera e propria processione con i Magi e il loro seguito di servi attraversava
allora la chiesa fino allaltare dove venivano deposti i doni. In successive
versioni vi figurava anche Erode e la sua corte a fare del dramma natalizio
unoccasione di sontuosità e a sviluppare in termini sempre più
immaginifici il messaggio liturgico, capace in tal modo di porsi al livello
più popolare di comprensibilità. Ancora in questa linea di sviluppo si situano
le Processioni dei profeti, concepite come drammatizzazione dellagostiniano
Sermo de symbolo, che enumerava le profezie dellavvento del Salvatore
documentate presso gli ebrei e presso i pagani. Spogliato degli elementi espositivi
e narrativi, il monologo venne trasformato in una sfilata di profeti e nella
sua prima versione è ancora rintracciabile in un manoscritto di Limoges. Particolarmente
interessante è il codice di Laon, dove il profeta Balaam appare in groppa a
un asino. Questa presenza dellasino doveva assumere un particolare significato
se la versione contenuta in un manoscritto di Rouen porta esplicitamente il
titolo Ordo processionis asinorum. In questi casi lapparire dellasino,
figura archetipica di personaggio folle e bizzarro risalente a tradizioni pagane,
era accompagnata dal canto umoristico Orientis partibus adventavit
asinus, la celebre prosa dellasino diffusissima in tutto il
Medioevo. Era questa la forma più diretta di concessione al popolo, nei termini
di un sincretismo che posteriormente la Chiesa non avrebbe più tollerato.
Pure nellassecondamento del gusto popolare si situano i drammi del codice
di Fleury, almeno per quanto concerne le quattro azioni che si riconducono alla
più umanizzata figura di santo. San Nicola (Tres filiæ, Tres
clericii, Iconia Sancti Nicolai, Filius Getronius). E in questa
evoluzione assistiamo da una parte allestensione del luogo scenico, nello
spazio esterno alla chiesa a diretto contatto con il popolo, e dallaltra
al passaggio dal latino al volgare, già evidente nello Sponsus di Limoges;
passaggio che si completerà nel Mystère dAdam (databile tra il
1146 e il 1174), il quale segna pure il predominio della recitazione sul canto
in una prospettiva in cui gli aspetti simbologici cederanno viepiù di fronte
al realismo scenico, peraltro affermato senza rinunciare alla meraviglia degli
apparati spettacolari minuziosamente descritti nelle didascalie dellAdam,
dove tra laltro era prevista che le vane sortite dei demoni dallinferno
dovessero passare per plateas, cioè fra il pubblico, con
soluzioni che non sono quindi solo prerogativa di certo provocatorio teatro
moderno.
Gradualmente il legame con la liturgia quindi si allenta, ma per buona parte
il tentativo di certi studiosi di tracciare unesatta linea di demarcazione
tra drammi liturgici e drammi semiliturgici si rivela inaccettabile. Lesigenza
che stava alla base del dramma liturgico non era infatti quella di dar vita
a una forma artistica più o meno autonoma, ma corrispondeva al bisogno di assicurare
allavvenimento religioso evidenza rappresentativa, unesemplarità
che si imprimesse in maniera più diretta nella mente dei fedeli. Esso rimaneva
perciò un fenomeno non tanto legato al culto, ma addirittura una manifestazione
essa stessa di culto, anche se non in forma ortodossa. Anzi, considerato non
dalla prospettiva della Chiesa ma del popolo, il dramma liturgico dovette probabilmente
costituire il modo più spontanea e partecipato di concepire il culto. Più spontaneo
in quanto gli era concesso di attingere liberamente non solo ai testi sacri,
ma anche ai sermoni, alle vite dei santi e ai libri apocrifi. Più partecipato
in quanto numerosi ruoli, perlomeno quelli secondari, erano affidati ad anonimi
cittadini mentre a confermare la continuità del livello liturgico i ruoli maggiori
erano assunti dal clero.
In quanto preciso momento di coinvolgimento sociale, con la crescita delle città,
questa attività sfuggi al controllo del potere ecclesiastico, soppiantato in
questa funzione dalle confraternite e dalle corporazioni. Del 1378 ci sono addirittura
documenti che registrano la protesta del capitolo di San Paolo di Londra rivolta
a re Riccando II, affinché proibisse a gente inesperta di presentare
le storie dellAntico e del Nuovo Testamento. Ma la laicizzazione del dramma
a quel tempo era già un fatto compiuto per cui il repertorio conservato, al
di là del significato religioso, sviluppava nei confronti della vita contemporanea
un rapporto realistico di insostituibile portata storica. Nei Miracles de
Notre Dame (XIV sec.) dietro una frase quale Les Anglots mont
tout tolu possiamo leggere tutta la tragica realtà della guerra dei
cento anni. Mentre nei Miracles de Ste-Geneviève già si può parlare di
iperrealismo, trovandoci di fronte allincessante sfilare di personaggi
disgraziati (idropici, lebbrosi, ecc.) pronti per essere miracolati dal santo
di turno, ma nel contempo presentati in modo da sottolineare insistentemente
le loro afflizioni e il repellente aspetto fisico. Nel contesto realistico dei
drammi di Ste-Geneviève è Interessante considerare il ruolo assegnato alla musica
chiamata ad accompagnare le apparizioni angeliche, mentre al contrario quando
gli angeli escono di scena il testo continua indicando espressamente sans
chanter. Latto è di importanza tuttaltro che trascurabile
e si pone in linea con lipotesi di Nino Pirrotta, il quale ha fatto notare
come i soggetti dei primi melodrammi (dalla Dafne allOrfeo)
fossero scelti in modo da rendere plausibile il fatto di assistere allazione
di personaggi intenti ad esprimersi in canto: nella teoria del Guarini gli arcadi
erano infatti poeti che esercitavano anche la musica. Nella fase di maggior
realismo il dramma liturgico era quindi ugualmente portato a circoscrivere nella
musica II fattore trascendente e idealizzante, la cui presenza doveva perciò
essere motivata dallazione.
Interamente musicato è invece il Ludus Danielis di Beauvais (XII sec.),
il quale si situa al primo stadio devoluzione del dramma liturgico. La
storia di Daniele infatti non è altro che una derivazione dal primitivo Ordo
prophetarum. Da questa Processione dei profeti si stacca la figura
di Daniele che verso il 1140 ritroviamo protagonista dellomonimo dramma
del chierico Ilario, allievo di Abelardo. Ilario fu anche autore di un Lazarus,
citato fra i primi esempi significativi di interpolazione di ritornelli in volgare
nel latino della struttura di base. Qualche decennio dopo a Beauvais è rappresentato
un altro Ludus Danielis, il più elaborato e musicalmente interessante
tra i drammi tramandati sino a noi. Più che di lavoro anonimo si tratta di una
creazione collettiva secondo quanto recita la quartina dintroduzione:
Ad honorem tui Christe
Danielis ludus iste
in Belvaco est inventus
et invenit hunc juventus
Gli studenti
di Beauvais si basarono comunque sul precedente dramma di Ilario, come dimostra
lassunzione dellepisodio apocrifo dellangelo che ammonisce
il profeta Abacuc a soccorrere Daniele, portandogli da mangiare nella fossa
dei leoni. Ispirati a Ilario sono probabilmente anche i pochi versi in volgare
interpolati al testo latino, mentre limpostazione drammatica vi risulta
efficacemente accurata grazie alla varietà melodica e dei metri sapientemente
dosati della prosa latina, orientata in modo chiaramente teatrale. Nei vari
conductus, dove il coro stimola gli astanti commentando gli avvenimenti,
il Danjou ha addirittura supposto che gli studenti di Beauvais si fossero rifatti
allantica tragedia. In realta era la stessa dimensione scenica ad esigere
tale articolazione, come è il caso della musica abbondantemente arricchita dal
suono degli strumenti, non espressamente indicati nella melodia superstite ma
supposti dalle allusioni del testo.
Laspetto sommario della notazione permette comunque di riconoscere la
diversità dei materiali impiegati, che è tipica del contesto in cui veniva
a collocarsi il dramma liturgico, per metà austero, in linea con la tradizione
più ortodossa avvertibile nellandamento melismatico del canto gregoriano
che compare nei cori dei personaggi di corte, e per metà aperto alle suggestioni
delle acquisizioni più recenti, nel livello del canto sillabico ormai apparentabile
alle forme profane che della lingua latina non sviluppavano più la metrica basata
sulla quantità, ma il principio degli accenti. Tale formulazione è chiaramente
riscontrabile nei conductus cioè il canto che accompagnava una funzione
cerimoniale quando lofficiante si spostava da un luogo allaltro
della chiesa, e che nel Daniel, oltre ad annunciare le entrate dei vari
personaggi, come termine è designato per la prima volta nella storia della musica.
Fra i più interessanti figura il conductus che accompagna landata
di Daniele al re, che, pur rispettando la suddivisione strofica, si svolge in
modo articolato tra il coro dei principi e la voce sola del profeta. Un secondo
conductus è basato sullincipit della sequenza di
San Nicola (Congaudentes exultemus), ad indicare come i procedimenti
compositivi dellepoca prevedessero la libera riutilizzazione dei materiali
melodici, probabilmente con il preciso scopo di coinvolgere maggiormente il
pubblico proponendogli melodie già familiari. E tale grado di coinvolgimento
nel Ludus Danielis è proporzionale alla meraviglia indotta dalla
mano misteriosa che traccia davanti al re le tre enigmatiche parole della profezia,
dai leoni nella fossa e dalle apparizioni dellangelo che da ultimo annuncia
la nascita del Cristo, riportando lemozione al contesto della festività
che un dramma del genere era chiamato a condecorare.