"METODO", N. 19/2003

Federica Guazzini
(Ricercatrice all’Università degli Studi di Siena)
Recensione a
International Conference on African Constitutions
a cura di L.V. Piergigli e I. Taddia

Da almeno quattro decenni l’Africa Sub-Sahariana si presenta all’attenzione degli studiosi come un laboratorio di politica costituzionale in continua evoluzione. All’inizio degli anni ’60, la decolonizzazione e il raggiungimento dell’indipendenza ha visto i nuovi Stati dell’Africa sub-sahariana adottare carte costituzionali di matrice democratica mutuate dall’ex potenza coloniale, ma la rapidità del processo di decolonizzazione - con l’eccezione dei possedimenti portoghesi - ha ostacolato il radicamento, "trapianto", secondo il linguaggio specialistico, del modello statuale occidentale nel continente. Le difficoltà politiche ed economiche dell’emancipazione e dello sviluppo hanno reso ben presto evidente come tale modello fosse debolmente compatibile con le esigenze di consolidare l’unità nazionale. Dalla metà degli anni ’60, l’autoritarismo ha soppiantato il pluri-partitismo originario e le revisioni costituzionali hanno quindi segnato l’abbandono dell’ispirazione liberale delle garanzie costituzionali. Con le opposizioni imbavagliate e il rafforzamento dell’esecutivo in regimi presidenziali, si è inaugurata nell’Africa Sub-Sahariana una stagione di colpi di stato, militari e civili. Durante gli anni’70 e ’80, lo stato di diritto si è dissolto in favore dell’istituzionalizzazione del sistema mono-partitico; il capillare controllo del potere da parte del capo carismatico è stato quindi sancito dalla promulgazione di costituzioni di stampo autocratico. Mentre, a livello ufficiale, tale sistema di potere veniva ideologicamente sostenuto con teorie occidentali di diversa ispirazione - quali, ad esempio, il socialismo per la Tanzania, il marxismo-leninismo per l’Angola e il liberalismo per la Costa d’Avorio - o orientamenti "africanizzati" in risultati originali (es., il presidenzialismo negro-africano), nella prassi, nella pressoché totalità di casi, comunque, si è assistito al dilagare di un malcostume politico imperniato su clientelismo e corruzione endemica, per il quale è stata coniata l’appropriata definizione di "politica del ventre". Le variazioni del sistema parlamentare e le deviazioni dal "modello Westminster", in riferimento alle costituzioni africane entrate in vigore al momento dell’indipendenza, si sono estese a gran parte dei paesi dell’Africa Sub-sahariana. L’annullamento di ogni dialettica politica nelle strutture statuali e le continue violazioni dei diritti dell’uomo hanno innescato ribellismi e lotte armate che hanno favorito il dilagare di crisi economiche - dalla seconda metà anni ’70 -, crisi influenzate anche da fattori internazionali. La fine della guerra fredda, che aveva pesantemente coinvolto anche il continente africano nel confronto Est-Ovest, aveva lasciato sperare in un periodo di pace, di stabilità politica in senso democratico e di sviluppo. Alcuni osservatori si erano incautamente spinti a parlare di "Rinascimento africano", poiché l’avvio della transizione al multi-partitismo in molti paesi dell’Africa sub-sahariana aveva condotto al potere nuovi leaders e inaugurato una diversa stagione politica. Ha quindi avuto luogo un processo di rielaborazione dei modelli costituzionali, in un contesto di politica interna in mutamento e sotto la pressione di un contesto internazionale in rapida evoluzione.
Ed è proprio partendo da questo nuovo periodo di revisione di costituzioni e del lavoro svolto per emendare o riscrivere il quadro costituzionale compatibile con sistemi democratici che costituzionalisti, storici, sociologi, e politologi hanno soffermato la propria attenzione su tale fenomeno.
Di fronte al fallimento dei regimi autoritari africani, alla dimostrata incapacità istituzionale di tali governi di sostenere ed alimentare sistemi economici floridi e ai molti abusi inflitti dallo stato burocratico ai propri cittadini, l’attenzione degli studiosi si è concentrata sui fattori che avevano condotto a tali insuccessi. Da allora, molte ricerche sono state condotte sulle condizioni economiche e sociali che avrebbero potuto favorire il tramonto dello stato autoritario. La vasta letteratura sulla transizione alla democrazia ha enfatizzato il ruolo delle istituzioni della società civile, quali le chiese, i movimenti sindacali, l’associazionismo e le istituzioni di tipo comunitario. Quando poi la fine della guerra fredda ha consentito anche in molti paesi dell’Africa Sub-Sahariana l’avvio di una fase di transizione democratica, l’interesse degli studiosi è passato dai fattori che avevano promosso il mutamento agli attori e ai metodi coinvolti nel processo di transizione. Tuttavia, ancora scarsa attenzione era prestata al ruolo dei testi costituzionali in tali transizioni. E’ noto come uno dei più importanti strumenti per la stabilità delle istituzioni politiche e lo sviluppo di un paese sia proprio la sua carta costituzionale. Questa non è semplicemente un documento legale, quanto piuttosto rappresenta un accordo politico, il risultato di un processo influenzato da variabili interne ed esterne.
International Conference on African Constitutions è un volume che getta appunto luce - importante e innovativa - su temi fondamentali dell’attività dello stato nel continente africano, esaminando aspetti di storia politica e sociale attraverso studi costituzionali. Il volume è la raccolta di venti relazioni presentate alla conferenza, dalla medesima titolazione, svoltasi a Bologna nel novembre 1998. I due curatori, Valeria Piergigli e Irma Taddia, docenti rispettivamente all’Università di Padova e di Bologna, hanno chiamato a raccolta un team internazionale di autorevoli specialisti, promuovendo un’intelligente multi-disciplinarietà che, favorendo le contaminazioni, è di prezioso aiuto per la comprensione delle società africane attuali. L’introduzione editoriale di Irma Taddia è, in tal senso, ben più di un excursus sui singoli papers. Si tratta di una direzione editoriale che funge da guida per i molteplici contributi e li lega mirabilmente insieme, offrendo un percorso di lettura interessante anche per la visione complessiva dell’Africa Sub-Sahariana, non limitata a realtà settoriali o regionali. L’unica, deliberata, esclusione riguarda le società islamiche che, nelle intenzioni dei curatori, formeranno oggetto di una successiva occasione di riflessione.
I contributi del volume rappresentano articolati esercizi di messa a fuoco analitica dell’accelerata dinamica di cambiamento istituzionale e sociale, nonché delle nuove tendenze di policy-making. Nel volume vengono respinte le visioni teoriche di radicale discontinuità nel processo di state-building in Africa Sub-Sahariana, pur evidenziando le differenti configurazioni e i lineamenti della cultura politica delle formazioni statali pre-coloniali con lo stato coloniale e post-coloniale. Non mancano poi le critiche sulle generalizzazioni teoriche, in particolare al dibattito tra i sostenitori delle teorie realiste, liberali, marxiste, costruttiviste e neo-weberiane. In particolare, nel periodo immediatamente post-guerra fredda, la letteratura specialistica che segue un approccio collegato alle teorie dello sviluppo ha dato per inevitabile ed imminente l’occidentalizzazione delle società africane e c’è stato un rinnovato interesse nel paradigma che enfatizza, in modo semplicisticamente mono-casuale, il merito della liberalizzazione economica e della democratizzazione per lo sviluppo.
Non pochi studiosi africani hanno contestato i colleghi occidentali per il loro insistere nel concettualizzare la politica in Africa in termini meramente eurocentrici e recentemente Mwayila Tshiyembe lo ha fatto con particolare vigore (*). Partendo dal presupposto che sia la tradizione africana che l’esperienza coloniale hanno prodotto il radicamento delle regole del costituzionalismo africano, Rodolfo Sacco e Luca Castellani (Le Constitutionnalisme africain, pp. 43-58) hanno affrontato analiticamente i pilastri di questo costituzionalismo e i paradigmi interpretativi predominanti circa lo stato africano post-coloniale e la prassi politica nel continente. Questo lucido, interessante paper appare l’ideale punto di partenza nel percorso di lettura del volume, seguito dalla lettura critica circa la facilità d’importare in Africa sub-sahariana il binomio liberismo economico-pluralismo politico condotta da Alexei Vassiliev (Civil Society and Constitutional Development in Africa, pp. 59-66). Da un’ottica comparata, anche Ugo Mattei (Patterns of African Constitutions in the Making, pp. 145-171) esamina le ultime revisioni costituzionale che hanno avuto luogo in Sud Africa, Eritrea e nello stato del Puntland (Somalia nord-orientale). Minimo comun denominatore di queste esperienze sembra - anche secondo Mattei - la difficoltà di conciliare la tradizione giuridica locale con i principi del diritto occidentale. Sulla peculiarità del processo costituzionale del Puntland - sorto dal collasso dello stato-nazione somalo - concentra l’attenzione Federico Battera (Remarks on the 1998 Charter of Puntland State of Somalia, pp. 175-191). L’autore illustra il "processo di ricostituzione di amministrazioni dal basso", che ha avuto origine alla metà degli anni ’90, sottolineando le potenzialità di tale modello per superare la dicotomia stato/società civile in Africa sub-sahariana.
Tra le altre relazioni importanti, figurano quelle che sono riflessioni più generali. A proposito della sempre precaria dialettica tra potere civile e militare, Antonella Benazzo (Pouvoir civil et pouvoir militaire dans les transitions constitutionnelles africaines es années 1990, pp. 247-267) mentre rende atto di come la recente transizione al pluri-partitismo sia stata guidata da militari e come le nuove carte costituzionali dei paesi dell’Africa sub-sahariana codifichino formalmente la subordinazione delle forze armate al potere politico, altrettanto incisivamente rileva come, de facto, i militari mantengano tuttora il loro arbitrario potere di condizionamento nell’arena politica.
La discrepanza tra l’adesione formale alle regole auree del costituzionalismo liberale e prassi africana è sottolineata efficacemente dalla stessa Valeria Piergigli (The Reception of Liberal Constitutionalism and "Universal" Values in the African Bill of Rights. Ambiguities an Perspectivities at the Turn of the Millennium, pp. 119-143), la quale sviscera in dettaglio i principali elementi di contraddizione e conclude preconizzando ulteriori sospensioni delle garanzie costituzionali e violazioni di diritti umani, finché in Africa Sub-Sahariana il rispetto delle libertà fondamentali rimarrà una mera dichiarazione testuale. Particolare attenzione proprio ai diritti umani è dedicata da Guglielmo Verdirame (Human Rights an African Constitutions: Some Observations, pp. 107-117). Lo studioso non si esime dall’affrontare la tematica dalla prospettiva del relativismo culturale, quella che auspica la tutela dei diritti umani nel rispetto di ogni specifico ambito socio-culturale, e non esita ad additare società multinazionali ed organismi internazionali di sistematiche violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani, tali a vanificare l’opera di sensibilizzazione sia delle organizzazioni non governative che di giuristi e intellettuali africani. All’operato di questi ultimi va il merito d’aver redatto la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, emanata negli anni ’80 nell’ambito dell’Organizzazione dell’Unità Africana. Elena Ferrari (Droits e l’Homme et Constitutions Africaines, pp. 77-96) sviluppa in prospettiva storica l’evoluzione costituzionale per rilevare che, dal contemplare i soli diritti individuali, tali costituzioni recentemente includono anche la promozione dei diritti collettivi. Con un’analisi comparata ad ampio spettro, l’esegesi compiuta dall’autrice consente al lettore di misurare l’efficacia di tale evoluzione rispetto all’instabilità politica dell’Africa sub-sahariana.
E’ noto come uno dei fattori primari di tale instabilità sia riconducibile alla questione dell’etnicità che, in quanto tale, rappresenta anche l’oggetto di un vasto tema storiografico. A Roza Ismagilova (Ethnicity in Africa and the Principles of Solving Ethnic Problems in the Constitutions, pp. 203-220) è spettato il compito di esaminare questo aspetto nell’esperienza di ventun paesi africani. Nel rilevare come pressoché tutti i governi africani abbiano richiamato il rispetto del principio di eguaglianza nelle carte costituzioni, l’autrice focalizza le ragioni economiche, sociali e le dinamiche storiche degli scontri per il potere quali elementi scatenanti la conflittualità interetnica e riconosce la difficoltà di conciliare il diritto all’autodeterminazione dei popoli, quale principio giuridico internazionale, con le esigenze della stabilità e coesione nazionale degli stati africani.
Affronta questo tema, muovendo dall’analisi comparata dei casi eritreo ed etiopico, Uoldelul Chelati Dirar (The Issue of Nationalities in Eritrean and Ethiopian Constitutions: a Historical Perspective, pp. 221-246). E’ noto come il governo di Addis Abeba, alla metà degli anni ’90, abbia scelto un modello costituzionale di federalismo etnico, con la riconosciuta garanzia del diritto all’autodeterminazione, mentre ad Asmara si sia preferito cementare la coesione dei gruppi etno-culturali attraverso l’unità nazionale da poco raggiunta. Dopo aver seguito questa evoluzione storico-politica nei due paesi, l’autore discute i limiti di tali scelte alla luce del conflitto bilaterale insorto nel maggio 1998. Tutti i restanti contributi affrontano casi di studio, sovente secondo una prospettiva comparata. Così, Babacar Kanté (L’évolution constitutionnelle es Etats d’Afrique francophone: tendances recentes, pp. 25-42) esamina la reale influenza del modello giuridico francese nelle ex colonie. Dal 1960 al 1989, con la pressoché unica eccezione del Senegal, i mutamenti di regime nell’Africa francofona sono avvenuti all’insegna dei colpi di stato e di autoritarismi e solo la fine della guerra fredda ha rappresentato lo spartiacque verso il pluralismo democratico, seppur tra mille insidie che l’autore elenca doviziosamente. Due studiosi si cimentano poi con l’analisi comparata delle costituzioni delle ex colonie portoghesi: Angola, Mozambico e Guinea Bissau. Angelo Scavone (Angola, Mozambique, Guinea-Bissau: Three Constitutions Compared, pp. 269-282) ripercorre storicamente l’evoluzione politico-istituzionale, dal modello socialista a quello liberale, scelto dopo il tramonto della guerra fredda. Massimo Morigi (Effectiveness of the Constitutions of Angola, Mozambique and Guinea-Bissau with regard to the state of human rights in these countries) presenta una severa quanto documentata denuncia della precarietà del rispetto dei diritti umani in questi tre paesi, a dimostrazione che lo sviluppo economico non è automaticamente indice di stabilità democratica. Non troppo dissimili sono poi state le esperienze di revisione costituzionale in Madagascar e in Zambia, entrambe dagli esiti negativi. Fallimentare il tentativo di mutamento costituzionale in senso multipartitico varato in Madagascar, le cui vicissitudini sono ripercorse analiticamente da Liliana Mosca (The Constitutional Framework of the Third Malgasy Republic: is it alreay a transition?, pp. 295-307), la quale le attribuisce all’inettitudine e alla corruzione dell’élite politica nazionale. Altrettanto fallimentare, come dimostra Bianca Carcangiu (Democracy and the Zambian Constitution, pp. 316-329) la parentesi del sistema multipartitico varato in Zambia nel 1991 e precocemente rivelatosi inefficace per corruzione e assenza di reale democraticità.
Tra le success stories del costituzionalismo continentale spiccano i casi di Sud Africa, Namibia e Botswana (François Venter, The Emergence of Constitutionalism in Southern Africa, pp. 9-24), dove i valori culturali peculiari sono stati ben armonizzati in un quadro di legalità costituzionale. Alla carta sudafricana varata nel 1997, la quale spicca per modernità e democraticità, è dedicata l’analisi di Angelo Rinella (South Africa’s Government in Comparison with the Constitutional Models of democratic Systems. Some Observations, pp. 67-76). Tale carta è il frutto politico dell’opera di riconciliazione nazionale post-apartheid, la quale ha consentito al paese di avviare l’integrazione nazionale sulla base della una comune cittadinanza sudafricana, come rileva Andrea Lollini (Human Rights an Past Wrongs: the Constitutional Concept of Truth and Reconciliation in South Africa. Case CCT 17/96, pp. 97-196). A tale proposito, un’interessante chiave di lettura è fornita da Bernardo Bernardi (Will Multilingualism Subserve or Substitute Multiethnicity? An anthropological Comment on the Founding Provisions of the Constitution of the Republic of South Africa 1996, pp. 193-202). Quest’ultimo enfatizza come fattore positivo l’egualitarismo insito nella costituzione sudafricana. Tuttavia, l’analisi antropologica rivela che il rispetto del pluralismo culturale del paese che è attestato dal riconoscimento del multilinguismo non è sufficiente ad insabbiare le tensioni etniche.
Nelle conclusioni del volume, affidate a Tekeste Negash (The Lanscape of African Constitutions: Some Concludine Remarks, pp. 334-349), la speranza nei confronti delle innovazioni che emergono dal Sud Africa è temperata da lucido realismo. Mentre il processo di transizione alla democrazia era in corso negli anni ’90, in gran parte dei paesi dell’Africa Sub-sahariana si sono però acuite le tensioni politiche e le rivalità, come in Mali, Benin, Congo-Brazzaville e, più tardi, in Costa d’Avorio e Senegal, per finire con i casi di Zaire e Rwanda, dove si è giunti al collasso dello stato stesso. Dalla metà degli anni ’90, l’Africa sub-sahariana ha poi registrato la recrudescenza di perduranti situazioni d’instabilità politica, nonché di nuove e drammatiche conflittualità: guerre civili, conflitti full-scale, genocidi. L’attuale crisi travaglia il continente in assenza di una vera e propria istituzionalizzazione politica e di un sostenuto sviluppo economico. Mentre tuttora, in Occidente, si continua a sostenere che le speranze di attenuare la conflittualità internazionale ed interna agli stati africani sono vincolate all’organizzazione e al consolidamento delle istituzioni democratiche, nonché al decollo economico, tutt’oggi, in Africa, le prospettive d’istituzionalizzazione politica sono dunque ancora incerte, dato che anche i recenti esperimenti politico-democratici non sono stati tali da condurre al consolidamento di uno stabile ordine politico, burocratico e costituzionale.

L.V. Piergigli e I. Taddia (a cura di), International Conference on African Constitutions, Bologna, November 26th-27th, 1998, G. Giappichelli Editore,Torino, 2000.

(*): Mwayila Tshiyembe, La science politique africaniste et le statut théorique e l'Etat africaine : un bilan négatif, in “Politique Africaine”, 71 (1998).Su