"METODO", N. 19/2003

Marco Giaconi
(Direttore di ricerca presso il Centro Militare di Studi Strategici di Roma)
LA STRATEGIA
Analisi politologica di un termine denso di concetti e di storia

La strategia, dice sostanzialmente Von Clausewitz, è lo studio dei fini politici della guerra.
Sempre in termini tardoidealistici, si tratta di “imporre la propria volontà al nemico”.
È qui che risiede il fascino del pensiero militare prussiano su Lenin. L’egemonia della classe operaia è, tutto sommato, un’imposizione della propria volontà all’Altro. La forza è finalizzata alla volontà, non il contrario. Il bellum è sempre duellum. Il fine è politico, la guerra è una fase di alta incertezza che è tanto più efficace quanto più è breve, imprevedibile, incontrollabile.
La strategia classica è affine all’incantesimo operato su forze oscure, sempre presenti ma inconoscibili. È quindi la politica, nella sua essenza. La cosa in sé kantiana della pace.
In contesti più vicini a noi, la strategia rappresenta la definizione degli obiettivi politici dello scontro militare. Tali fini sono stabiliti dall’autorità rappresentativa, della quale il sistema militare esegue gli ordini generali ma riservandosi uno spazio di autonomia sulla tattica che, in effetti, non è distinguibile concettualmente dalla strategia propriamente detta. Si disquisisce sempre, nel caso della tattica come in quello della strategia, la “scienza dei fini”, dell’uso ragionevole di mezzi per obiettivi generali.
Clausewitz rimarrà sempre vago sulla separazione tra tattica e strategia. È anche questa la “nebbia della guerra”.
La prima guerra mondiale cambia il contesto teorico della strategia classica, così come i pragmatisti cambiano l’idealismo hegeliano e il suo Stato immobile. Le masse divengono elemento politico, quindi strategico. Diaz viene sostituito a Cadorna dopo Caporetto e imposta i giornali di trincea, la guerra politica e le operazioni di lotta psicologica verificate sui suoi soldati.
Il socialismo riformista, con Salvemini e Battisti, fa la guerra per riposizionare l’Italia nel mercato europeo. La riedizione dell’operazione Crimea di Cavour, prodromo dell’unità nazionale. La guerra di popolo è immediatamente fine e mezzo, politica e tattica, ideologia e prassi, processo e risultato. Ne aveva preconizzato l’avvento lo stesso Clausewitz.
Dopo nascono, in Italia come altrove, sistemi politici che mobilitano le masse, facendo tesoro delle tecniche di condizionamento da trincea, confondendo pace con guerra, mobilitazione e “business as usual”. Il totalitarismo del ventesimo secolo è la pace temporanea per prepararsi alla guerra finale. Contro le potenze demoplutomassoniche o contro l’imperialismo capitalistico, l’Europa fino al 1945 vive nel prolungamento di un’economia di guerra durante la pace, al fine di determinare la posizione nella divisione del lavoro mondiale che ottimizzi le risorse nazionali e, soprattutto, permetta l’uscita dal ciclo di crisi-boom con il quale si è affermata l’economia moderna. Il progetto cade. Le risorse non sono infinite e la psicologia di Le Bon, l’elettrizzazione positivista del popolo, non sostituisce i fucili e le razioni che mancano. Nascono, mix di tecnologia avanzata e mobilitazione di massa, i vincitori e poi concorrenti della guerra fredda, USA e URSS. Vincono perché durano di più del nemico, con risorse incomparabili e un equilibrio interno che le dittature non possono imitare.
Gli USA escono dalla lunga crisi iniziata nel 1929 grazie al deficit spending militare e all’acquisizione, per fallimento dell’intestatario, cioè dell’Impero britannico.
L’URSS staliniana riscopre il patriottismo zarista e congela la sua lotta di classe tra campagna e città nello sforzo contro il secolare nemico tedesco, il cavaliere teutonico sconfitto da Sant’Alessandro Nevsky. Campagna e città, i termini della questione europea come li imposta il gen. Marshall nel suo discorso all’Università di Harvard che dà inizio al Piano omonimo.
Il dopo, è storia di ieri. Nel 1949, un superspiato giovane attaché d’ambasciata USA a Mosca invia un lungo telegramma al Dipartimento di Stato teorizzando la strategia del contenimento del comunismo internazionale. Non più guerra vera e propria, ma confronto geopolitico, attrito costante senza il fuoco. La strategia indiretta, come la chiamerà un amico di Lawrence d’Arabia, sir Basil Liddell-Hart. Danno ancora fastidio le periferie dei nuovi imperi, indecise sul da farsi. La Grecia, l’Italia. Sono povere o sconfitte, non contano. L’URSS innesca la guerra fredda con la gestione maldestra della crisi iraniana. Il Caucaso, fin da allora. La Germania passa rapidamente dallo stato di arcinemico a quello di polo geopolitico dell’Alleanza Atlantica, progetto di unificazione europea, bastione antisovietico, integratore del centro d’Europa (la Germania), nucleo di stabilità tra USA e Eurasia. Il massimo di attrito possibile per evitare il calore di una guerra termonucleare.
Fino al 1994 l’URSS aggiornerà i piani per una penetrazione dell’Eurasia occidentale dalla pianura tedesca fino alla soglia di Gorizia, ipotizzando un uso tattico dell’arsenale atomico e la chiusura dello spazio centrale europeo, preda necessaria per stabilizzare gli squilibri dell’economia programmata che già si avvia ad essere semilegale. L’URSS media all’inizio tra l’idea staliniana di “socialismo in un paese solo”, da difendere ad ogni costo, e la spinta machiavellica ad utilizzare gli errori “imperialisti” per costruire il suo Imperium, capace di sanare le diseconomie strutturali del socialismo dirigista con la protezione geopolitica sulle periferie dell’impero altrui.
NATO contro Patto di Varsavia. MEC contro COMECON.
L’URSS ha bisogno di risorse dalle periferie e non permette la costituzione di satelliti capaci di far fronte al containment occidentale. L’URSS cade quando la spinta alla parità strategica, sul piano missilistico e marittimo, innesca spinte all’aggiornamento tecnologico che la sua economia non può più sostenere. Oggi, il pensiero strategico è frazionato in settori sempre più elaborati e capaci di seguire on the spot gli sviluppi delle crisi. Geoeconomia, geofinanza, applicazione delle nuove tecnologie al controllo remoto delle crisi, scarsamente controllabili tramite i sistemi roussoviani del peacekeeping.
Manca lo sguardo di sintesi, il volo dell’aquila, la capacità di porre in parallelo le situazioni e le soluzioni possibili. La videopolitica e la stagnazione economica hanno fatto i loro irreversibili danni.
Riusciremo a ripensare la Global Strategy quando la lotta per la divisione del lavoro mondiale si sarà temporaneamente stabilizzata.

© 2001 Alleo diretto dal Dr. Alessandro Agostinelli, che ha autorizzato la pubblicazione su Metodo
© 2003 Metodo diretto dal Dr. Giovanni Armillotta