Enrico Galoppini
(Dottore
in lettere e filosofia e laureato in lingua araba
presso lUniversità della Giordania di Amman e lIstituto Bourguiba
di Tunisi)
SU ASPETTI IN OMBRA DELLA LEGGE SOCIALE DELLISLAM
DI GIOVANNI CANTONI
Era un compito ingrato, ma a qualcuno doveva pur toccare, in
tutti i sensi.
Non certo agli studiosi laici o laicisti, ai musulmani di professione,
attenti a non giocarsi soggiorni di studio tutto compreso in qualche
università di Riyad o di Rabat, né a quei religiosi professionisti del vogliamoci
tutti bene, e neppure allaffollata schiera dei trombettieri di un
arlecchinesco regno dellindistinto, dove ciascuna tradizione religiosa,
equivalendo allaltra, viene resa di fatto intercambiabile.
E così è toccato a Giovanni Cantoni mettere i classici puntini sulle i
di unislamistica a suo modo di vedere colpevolmente miope (perché vuole
esserlo) di fronte a quel che - secondo il reggente dellAlleanza Cattolica
- rappresenta al tempo stesso il dato fondamentale dellIslam e il grande
assente in buona parte delle trattazioni ad esso dedicate: la sua dimensione
pubblica, che si esplica nella stretta interconnessione tra quel che generalmente
intendiamo per religione, società e politica.
Aspetti in ombra della legge sociale dellislam.
Per una critica della vulgata
islamicamente corretta (Centro Studi sulla
Cooperazione A. Cammarata, S. Cataldo [CL] 2000, pp. 174, £. 20.000)
è un libro troppo ricco di spunti perché lo spazio angusto di una recensione
basti ad esaurire la riflessione che su di essi si impone. Cantoni non ha dubbi
e rigetta perentoriamente lislamofilia dogmatica di vari orientalisti,
lislamicamente corretto - variante del più generale politicamente
corretto - veicolo di una visione facilona del rapporto tra cristiani e
musulmani il cui marchio di fabbrica non ha affatto i connotati della reciproca
comprensione, o almeno di un proficuo (nei limiti dellutilità e della
sensatezza) compromesso, ma dellacritica accettazione da parte di molti
addetti ai lavori del punto di vista islamico. E un autentico tradimento
dei chierici quello che lAutore denuncia, quando - tanto per fare qualche
esempio delle distorsioni da essi propalate - si parla a vanvera di Gente
del Libro, si additano al tribunale della storia solo le Crociate o lInquisizione
e non la plurisecolare pressione armata di eserciti e marinerie musulmane, si
declamano le virtù di una religione senza clero, si esagera la portata
del fenomeno delle conversioni di cristiani; ma la gravità di tale tradimento
emerge in pieno quando Cantoni rimprovera i chierici di sottovalutare,
se non proprio di tacere, quel che costituisce La diversità dellIslam(1),
ovverosia la centralità nella visione islamica del mondo della arîa,
la legge di Dio ricavata in primis dal Corano e dal corpus di
tradizioni profetiche, e della umma, la comunità dei credenti, con relativa
assenza del concetto di persona connaturato alla nostra identità europea. Ladozione
di un approccio di tipo protestantico che privilegia il momento personale
a scapito della corretta valutazione della dimensione sociale è quindi fomite
di abbagli talvolta clamorosi e a niente servirebbe obiettare che oggi nessuno
Stato a maggioranza musulmana applica integralmente la arîa
per poter opporre argomenti alle tesi del direttore di Cristianità:
lideale dellIslam sarebbe essenzialmente utopico ed ogni musulmano
vivrebbe perennemente nella speranza di veder instaurare lo Stato islamico,
ideale e necessario complemento della pratica religiosa individuale affinché
egli possa dire di Vivere lIslam(2).
Sgombrare il campo da molte ingenuità diffuse sullislam,
secondo il prefatore dellopera, Padre Samir Khalil Samir, significa quindi
prendere atto che una corretta informazione sullIslam non la si persegue
raccontando quel che si gradirebbe che fosse loggetto del proprio studio
e che invece a suo dire non è, ma parlando con franchezza, come fanno del resto
i più autorevoli pensatori musulmani, i quali non pensano affatto di camuffare
lIslam per renderlo più gradito ai cristiani, ma sostengono coerentemente
che alla realizzazione dellIslam si perviene anche e necessariamente attraverso
lislamizzazione della società. E sulla base di questa constatazione
che Giovanni Cantoni ricorre alla parafrasi (ché, come si sa, il Corano è intraducibile)
del Libro Sacro rivista e controllata dottrinalmente dallUnione delle
Comunità e delle Organizzazioni Islamiche in Italia per citare passaggi coranici
e note esplicative a sostegno delle sue tesi.
Secondo lAutore di questo studio - poiché di studio si tratta e non di
semplice pamphlet dalla vena polemica ma inevitabilmente folcloristica
- non sono pochi i casi in cui gli orientalisti o arabisti che dir si voglia,
pur facendo menzione di quel che a suo avviso costituisce lintima essenza
dellIslam non danno il giusto risalto alla sovrapposizione sostanziale
tra dîn, dunyâ e dawla, fede, società e Stato. Che non
si tratti di una questione da derubricare con una semplice scrollata di spalle
ce lo ricorda il costante flusso verso lItalia e lEuropa di persone
di religione musulmana, portatrici della concezione della vita ricordata pocanzi
- soprattutto se una discreta consistenza numerica li incoraggiasse a porla
sul tappeto dellattualità politica -, mentre di non secondaria importanza
è la questione della condizione del non musulmano in una società a maggioranza
musulmana che, a detta di Cantoni, è invariabilmente dedotta dalle disposizioni
sciaraitiche sullo statuto del dhimmî, di colui al quale lo Stato islamico
dà protezione pur riconoscendogli differenti diritti e doveri rispetto
ai musulmani. Gli ostacoli di ogni tipo allannuncio del Vangelo e alla
costruzione di chiese nei paesi della mezzaluna(3),
supinamente accettati da chi, abdicando dalla propria funzione, preferisce il
quieto vivere, portano alla ribalta il problema fondamentale della mancanza
assoluta di reciprocità in un rapporto del cui squilibrio risente anche il cosiddetto
dialogo islamo-cristiano, un dialogo tra sordi innanzitutto perché le personalità
musulmane in esso coinvolte dipendono fortemente da un potere politico che,
nel Vicino Oriente e nellAfrica del Nord, conscio che la forma più efficace
di consenso è il richiamo allIslam, incoraggia proprio lo stato di cose
denunciato da Cantoni.
Uno stato di cose che, ad ogni modo, sarebbe suscettibile di riprodursi anche
in Italia e in Europa solo a patto che lhomo islamicus proposto
da Cantoni avesse un sufficiente grado di verosimiglianza, mentre a giudicare
dallinnegabile processo di annacquamento del senso di appartenenza religiosa
riscontrabile in parecchi musulmani stabilitisi in Europa, che non ha niente
a che vedere - sia detto per inciso - con la dissimulazione (taqiyya)
descritta dallAutore del saggio, la piatta figura del fedele musulmano
viziato da quellatavica staticità che lorientalismo da sempre gli
attribuisce, costruendo per tal via un musulmano paradigmatico, avulso
dalla realtà, impermeabile ad ogni cambiamento tanto è forgiato dalla fissità
della sua religione, si dimostra poco più di un utile postulato. E non vale
a puntellare questartificio antropologico il ricorso ai testi dei principali
teorici del moderno fondamentalismo (un fenomeno più variegato di quanto non
venga qui descritto) e alle loro fonti dispirazione hanbalite del tardo
medioevo islamico, che sarebbe un po come se - con tutti i distinguo del
caso - provassimo a capire la Cina doggi ricorrendo solo ai testi di Lao-Tze,
oppure interpretassimo il carattere rumeno solo attraverso la storia della Guardia
di Ferro. Limmobilismo e limmutabilità dellIslam
e del muslim avallati da Giovanni Cantoni lo confermano quindi debitore
di quella letteratura specialistica che a suo dire presenterebbe gravi lacune
informative, ma che si rivela un provvidenziale strumento polemico sia per chi
nellIslam individua un grave deficit di democrazia, sia per chi
vi scorge un pericoloso contendente/concorrente sullo stesso piano della cura
danime. Non sorprende perciò che lAutore accolga favorevolmente
sia le prese di posizione di Giovanni Sartori(4)
che del Cardinale Giacomo Biffi, incontratisi, percorrendo sentieri diversi,
nellagorà - oramai affollatissima - degli apologeti dei diritti
umani, il luogo di discussione preferito dai fondamentalisti dellOccidente
di ogni colore. Incamminatisi lungo questa strada non ci si dovrà quindi meravigliare
che studiosi musulmani individuino nel colonialismo vecchio e nuovo un rinnovellato
spirito salîbî, crociato, una volta constatato che la koiné
ideologica di un Occidente senza più avversari se non se stesso e le contraddizioni
che porta inscritte nel proprio codice genetico pare essere - specialmente in
rapporto alle altre culture - un intruglio progressista mal digerito di religione
cristiana, liberismo economico e diritti umani, con vari religiosi fattisi paladini
di questi ultimi e un numero non meno considerevole di laici ex tutto improvvisamente
scopertisi cattolici ferventi. Il richiamo espresso da Cantoni ad unanalisi
di tipo socioculturale alla Huntington - abile creatore di scenari internazionali
post-muro alla Fukuyama utili alla gestione del potere planetario - conferma
questimpressione, che cioè nellavversione ad un certo Islam (che
però - e questo è il punto fondamentale -sembra essere lunico che taluni
riescono a concepire) si sia compattato un inedito fronte che raccoglie tutto
e il contrario di tutto. E quando la sinistra liberale accusa la Chiesa
di una campagna intollerante lanciata proprio in nome dei valori tipici della
sinistra liberale!(5), mentre i musulmani
- che di regola fanno mangiare la moglie in cucina - trovano razziste le dichiarazioni
contro i matrimoni misti tra cristiani e musulmani(6),
si può dunque dire di essere giunti al caos più assoluto.
Assassinio, terrorismo, fondamentalismo, integralismo, diventano allora termini
intercambiabili (pp. 133-136), un po come fascista negli anni Settanta
era sinonimo di violento o di stragista: ogni musulmano recherebbe
in sé il germe della sopraffazione culturale e il vero jihâd, non avendo
affatto di mira la conversione (e questo è vero), ma il dominio di un potere
islamico (questo lo è invece solo in parte), verrebbe attualmente occultato
e lIslam, non potendo gettare ancora la maschera, avrebbe perciò adottato
in Europa una strategia dal basso incentrata sulla dawâ,
volta a fare nuovi proseliti, quinte colonne - anche loro malgrado - della penetrazione
islamica in Europa. Dipingendo questo scenario fortemente allarmistico - per
il quale oggettivamente alcune forze dellIslam in Europa stanno lavorando,
a giudicare da quel che esprimono e fanno - Cantoni, eccedendo in zelo, scivola
sulla classica buccia di banana dellimpressione di forte strumentalità
politica di tutta una polemica che il recensore riceve quando, interrogandosi
sui problemi posti da una cospicua presenza islamica in Italia (ancor più dopo
uneventuale intesa ufficiale) alla piena sovranità interna ed esterna
dello Stato italiano, si inquieta non poco al pensiero dei condizionamenti sulle
scelte di politica estera e sullatteggiamento da tenere verso il mondo
arabo-islamico che ne discenderebbero(7).
Francamente sorprende constatare che nessuno gridi allo scandalo di fronte allinfluenza
tradizionalmente e metodicamente esercitata dagli alleati doltreoceano
quando in diversi scoprono di avere a cuore lindipendenza dellItalia
nella scelta delle alleanze solo in previsione di un loro orientamento verso
paesi delle sponde meridionale ed orientale del Mediterraneo. Ci si perdoni
la franchezza, ma tutto ciò ci sembra più che altro un pretesto per agitare
lo spettro di una catastrofe imminente, quando il lotto dei cattivi,
dopo che fascismo e comunismo agitano i sonni solo di qualche ritardatario,
si è ridotto di fatto allosso. Se invece a qualcuno creasse qualche nostalgia
il dover tener conto del peso dei membri della comunità islamica italiana (e
conseguentemente degli Stati a maggioranza musulmana) ove si trattasse di ponderare
maggiormente lopportunità di un bombardamento sulle teste di loro correligionari,
allora sarebbe proprio unaltra storia, e a poco varrebbe sprecare carta
e fiato per dare veste intellettuale alle proprie idiosincrasie personali.
Cè chi ha scritto, convincendo poco Cantoni (pp. 32-33), di uno storico
malinteso tra Europa e Islam(8). Ecco,
chissà se un giorno qualche storico che vorrà fornire una nuova interpretazione
del conflitto in età moderna tra Chiesa e Stato, fede e ragione, laicità e confessionalità
delle istituzioni, gettando poi uno sguardo su quellardita e bislacca
alleanza stipulata nel clima delle polemiche culturali nostrane dinizio
terzo millennio, non ricorrerà - per spiegarla a sé e agli altri - alla stessa
espressione.
Note
(1) Cfr. Gilberto Galbiati, La
diversità dellIslam, Atheneum, Firenze 1992.Su
(2) Cfr. Abû l-Alà
Mawdûdî, Vivere lIslam, (trad. it.) I.I.F.S.O., Salimiah-Kuwait
1980.Su
(3) Diffusissimo
è il luogo comune secondo cui in alcuni Stati non ve ne sarebbe affatto bisogno
per assenza di cristiani e che condanna ad un inspiegabile oblio quei non pochi
lavoratori cristiani che, trovandosi ad esempio in Arabia Saudita, sono costretti
ad occultare i segni esteriori della propria fede.Su
(4) Si leggano,
piuttosto, le considerazioni critiche sul suo recente Pluralismo, multiculturalismo
e estranei, Rizzoli, Milano 2000, svolte da Marco Tarchi in Diorama
Letterario, n. 244, aprile 2001, pp. 20-23, per comprendere come lemergenza
multiculturale metta in risalto i limiti eurocentrici del liberalismo e la sua
conseguente inadeguatezza ad affrontarla.Su
(5) S. Benvenuto,
Le antinomie della buona coscienza, Diorama Letterario,
n. 240, pp. 8-9.Su
(6) Ibidem.Su
(7) In maniera molto
più sfumata, è la stessa questione ad essere posta da Renzo Guolo in chiusura
del suo Il campo verde: strategie islamiche in Italia, Limes,
1, 2001, pp. 209-218.Su
(8) Cfr. Franco
Cardini, Europa e Islam. Storia di un malinteso, Laterza, Roma-Bari 2000.Su