Giulietto Chiesa
(Giornalista)
INTRODUZIONE A
MISTERO AMERICANO DI MARINA MONTESANO
Questo lavoro rappresenta, nel momento in cui scrivo queste
righe, la più completa e precisa raccolta di dati e dinformazioni disponibili
sulla tragedia dell11 settembre 2001, e sugli incredibili eventi che lhanno
resa possibile.
È la fotografia fedele dello stato dellarte sulla materia. Negli anni,
nei decenni a venire, emergeranno probabilmente molti altri brandelli di verità,
ma sarà assai difficile, per non dire impossibile, che si possa giungere a una
conclusione. Come è già accaduto in altri grandi episodi di terrorismo di
Stato, la verità non sarà mai più ricostruibile. E la ragione di ciò è,
a ben pensare, una prova indiretta che siamo appunto di fronte a un grande evento
della categoria terrorismo di Stato.
Il problema è capire di quale Stato, di quali Stati si tratta, come
ci si è arrivati e, soprattutto, perché.
Il lavoro di Marina Montesano è prudente, è corretto, non si lancia in ipotesi
laddove non cè il sostegno di fatti concreti. Il titolo dice però che,
alla fine, lautrice come chi scrive queste righe non ha molti dubbi
sul fatto che l11 settembre sia stato qualcosa di molto più complesso
della banale verità in pillole che è stata venduta a tutto il pianeta.
Solo le grandi cospirazioni possono infatti permettersi questo finale da delitto
perfetto. Perché, anche se sono ben lungi (questa come le altre) dallessere
impeccabili (in quanto la percentuale del cretino è altrettanto alta tra i complottatori
che in ogni altra categoria umana), esse possono permettersi una vasta serie
di complicità. Solo le grandi cospirazioni hanno questa caratteristica. Le piccole,
gli atti terroristici di piccolo calibro, si scoprono sempre.
Non si tratta mai soltanto di mandanti e di esecutori, i primi sempre in numero
estremamente limitato, i secondi più numerosi, ma anchessi facilmente
numerabili. Attorno ai primi e ai secondi esiste (viene predisposto
con largo anticipo) un vasto alone di complici i cui incarichi sono quelli
di fermare, dirottare, insabbiare, confondere le acque, disturbare le ricerche,
perdere o distruggere documenti, liquidare o uccidere testimoni scomodi e così
via in una casistica sterminata che, leggendo queste pagine, apparirà con grande
e lucida evidenza.
Il lettore scoprirà, scorrendo queste pagine ne sono certo, con crescente
stupore che dei mandanti non si riesce ad avere che tenuissime e sfocate immagini
indirette. Degli esecutori, sebbene lopinione pubblica abbia già digerito lidea
che si sappia tutto, invece si sa pochissimo, e quel poco è stato sistematicamente
predisposto in anticipo, in modo da rendere impossibile una conclusione univoca.
Il resto è talmente inquinato, contraddittorio, ha già subìto così tante manipolazioni
che ricostruire la verità sarà impresa titanica. Sempre che qualcuno possa,
o voglia, rischiare di intraprenderla.
Si vede in molti passaggi una mano sapiente e fredda, che ha lasciato molte
tracce, intenzionalmente, ma tutte tali da rendere le indagini successive difficili
come un rompicapo multiplo. Basti ricordare che di molti dei diciannove presunti
dirottatori che sono stati mostrati al mondo intero nei due o tre giorni successivi
allattentato (non è strano, davvero, che prima non se ne sapesse niente
e dopo, dun tratto, tutto?) non solo lidentità è tuttaltro
che certa; non solo molti sono ancora vivi; non solo i loro comportamenti sono
straordinariamente strani e contraddittori; ma sono anche doppi
e tripli, come nel caso del cosiddetto ventesimo dirottatore,
di cui sono in circolo almeno tre esemplari diversi, uno solo dei quali è sotto
custodia e sotto processo.
Altrettanto straordinario è scoprire che in pratica tutti i diciannove erano
già da tempo sotto sorveglianza. Di alcuni si conosceva con certezza il legame
con azioni terroristiche precedenti, tentate o eseguite. Ma ciò non impedisce
loro di entrare e uscire dagli Stati Uniti, alcuni con visti multipli, altri
sotto la diretta supervisione dellFBI. In qualche caso si vede a occhio nudo
che, una volta scoperti, cè sempre qualcuno che interviene in soccorso, in
modo che possano procedere oltre senza essere disturbati.
In alcuni casi è possibile vedere che, mentre integerrimi cittadini americani
denunciano i loro sospetti e mettono gli organi inquirenti sulla giusta traccia,
cè ancora chi interviene perché lindagine non giunga a buon fine.
E anche adesso, a più di due anni di distanza, non una sola inchiesta è stata
aperta di fronte a fatti palesi di connivenza con coloro che, forse (ma non
è certo) diverranno terroristi e, forse (ma nemmeno questo è stato accertato)
non erano destinati a morire a bordo degli aerei essendo invece copie finte
dei terroristi, su cui doveva essere concentrata lattenzione di coloro che,
per caso o per intenzione, si fossero trovati sulla loro strada. Il mistero
del doppio Mohammed Atta, che vuole far sapere a mezzo mondo la sua intenzione
di acquistare un aereo per spargere armi chimiche è, di queste operazioni di
diversione, uno degli esempi più eclatanti.
Sono stati quelli di al-Qaeda a organizzare con largo anticipo queste piste
false? E perché mai avrebbero dovuto attirare su di loro, sulle carte di credito
con i nomi veri, sui conti correnti con denari veri,
lattenzione degli inquirenti? Domande, domande che non hanno risposta,
anche perché le risposte non sono state nemmeno cercate. Tirate le somme, dei
diciannove presunti dirottatori, entrati negli Stati Uniti in tempi
diversi, risulta che (sebbene il Dipartimento di Stato abbia affermato che dodici
di loro erano stati intervistati dalle autorità di frontiera americane)
le interviste di quattro di loro, tra cui il famosissimo Mohammed Atta, sono
state distrutte e non sono più rintracciabili, mentre tredici di loro non risultano
essere mai stati intervistati.
Allo stesso modo non si è proceduto di un centimetro, in due anni, nella ricerca
degli organizzatori delle speculazioni finanziarie che precedettero lattentato.
Si può ammettere (a fatica, invero) che FBI, CIA, NSA, ecc. non avessero nemmeno
esaminato i dati offerti loro da un software predisposto e funzionante da tempo
proprio per segnalare tempestivamente, in tempo reale, grosse speculazioni che
annunciavano sconvolgimenti sui mercati finanziari. Ma non è comprensibile,
di nuovo, che le indagini si siano fermate, quando è parere di tutti gli esperti
che è tuttaltro che impossibile, volendolo, risalire agli intermediari che
organizzarono massicce put options contro le compagnie aeree, e contro
le compagnie assicuratrici che, guarda caso, avevano a che fare con il World
Trade Center.
E, sempre per restare in tema, negli anni precedenti lassalto terroristico,
in decine di casi (come viene qui ripetutamente sottolineato) il WTC era al
centro delle attenzioni di tutti, anche perché era stato già una volta oggetto
di una potente azione terroristica. Vi furono perfino esatte previsioni di aerei
civili che si sarebbero dovuti schiantare contro le Torri. Quelle Torri. Ma
ogni volta appare clamorosamente evidente che qualcuno si preoccupa di stornare
lattenzione da questo aspetto.
Si può continuare quasi allinfinito e il lettore potrà saziarsi di punti interrogativi
sempre più inquietanti, sbalorditivi, incredibili. Fino a giungere a una sola
conclusione possibile. Di quale storia si è trattato, in verità, non possiamo
sapere, ma tutta la storia che ci hanno raccontato non regge alla più elementare
delle disamine. Questo è possibile dirlo adesso, come era già possibile dirlo
nei primi mesi del 2002.
Tutta la ricerca dellautrice dimostra che lo stuolo dei comprimari, dei complici,
consapevoli e meno consapevoli, è assai vasto. Una vera rete di complicità che
coinvolge falangi di cristiani e di musulmani, di miliardari, di apparati degli
Stati, di banchieri, di uomini di Stato, ecc. Molto al di là, e molto più importanti,
di un fanatico nascosto in una grotta afghana e diciannove o venti kamikaze
decisi a morire.
La versione ufficiale è dunque falsa. Coloro che lhanno costruita e distribuita
mentono. Su questi due pilastri, assolutamente certificabili e certificati,
anche in queste pagine, come in diverse altre attendibili ricostruzioni, si
può porre la domanda successiva: perché hanno mentito? Perché mentono Bush,
Cheney, Rumsfeld, Condoleeza Rice, Richard Armitage, e tutto il resto dellattuale
amministrazione degli Stati Uniti? Coshanno da nascondere? Solo la loro inefficienza
nel prevedere, nel prevenire?
La risposta è, anche in questo caso, inequivocabile: no.
A quanto pare, pur con estrema circospezione, la questione balena anche nelle
menti di parte dellestablishment statunitense, sebbene la campagna di
intimidazione per chiudere la bocca a tutti coloro che pongono interrogativi
sia stata e continui a essere estremamente virulenta. Si veda leditoriale non
firmato del «New York Times» del 30 ottobre 2003, in cui, di fronte
alla «recalcitrante» amministrazione (parola del senatore Thomas
Kean, repubblicano, presidente della speciale commissione dindagine incaricata
di sapere cosa sapeva George Bush prima dell11 settembre), si scrive testualmente:
«Lavvicinarsi delle elezioni presidenziali rende il tentativo di fuga
dellamministrazione ancora più sospetto. La mancata documentazione e il rifiuto
di affrontare la verità non faranno che alimentare le teorie di cospirazione
e minacciare le possibilità dellAmerica di prevedere future minacce».
Sfrondate della diplomazia, le auliche parole della più autorevole voce dellestablishment
statunitense indicano nel presidente in carica una fonte di pericolo per la
sicurezza nazionale degli Stati Uniti.
Siamo ancora, come si vede, soltanto sulla soglia dellabisso, rappresentata
dallinefficienza, oltre la quale, come annuncia il «New York Times»,
si è costretti a precipitare nei gorghi delle teorie della cospirazione. Ma
in molti, troppi casi qui esposti, non si tratta solo di inefficienza. Se fosse
solo questo non si spiegherebbe perché nessuno, proprio nessuno, dei principali
responsabili della sicurezza degli Stati Uniti sia stasto rimosso dal proprio
incarico. Anche se si fosse trattato di errori, di leggerezze, di peccati veniali,
essi sono comunque allorigine di 3000 morti americani. E né il direttore della
CIA, né quello dellFBI, né il vice capo degli stati maggiori riuniti dovrebbero
ancora essere al loro posto. Invece alcuni di loro sono stati addirittura premiati,
promossi, elevati di grado, ringraziati, encomiati. Di che?
Evidentemente la tesi dellerrore, dellinefficienza, non regge. Dunque
dobbiamo dedurre, per la contraddizion che nol consente, che sono stati
efficienti, che hanno fatto quello che dovevano fare.
Sfortunatamente, forse, quello che dovevano fare era di non fermare unoperazione
di cui avevano avuto abbondanti informazioni nel corso di diversi anni.
In questo caso, stando alle parole pronunciate dal Capo della CIA George Tenet
nel corso di unaudizione di fronte al Congresso, coloro che conoscevano
il meccanismo, cioè i suoi veri motori, furono «tre o quattro» in
tutto. E, secondo la vulgata ufficiale, la verità banale che tutti i media del
mondo hanno ripetuto a pappagallo, e che ancora ripetono, i dirottatori furono
diciannove. In questo lavoro si vede con tutta evidenza che i diciannove
non sarebbero arrivati a tanto se non fossero stati aiutati da altre centinaia
di persone.
Molte delle quali è questo uno dei punti più importanti da mandare a memoria non erano né di religione islamica, né di nazionalità provenienti dal mondo
arabo o generalmente musulmano. Erano invece cittadini statunitensi, probabilmente
di religione cristiana e per giunta (alcuni) convinti di agire nellinteresse
del proprio paese, cioè di stare compiendo il proprio dovere.
Solo dopo, a cose fatte, alcuni di questi anelli, i più intelligenti di regola,
capiscono qual è il gioco al quale hanno preso parte senza averne nozione. In
questo lavoro se ne evidenziano diversi casi. Quello, ad esempio, degli agenti
dellFBI Robert Wright e John Vincent (capitolo nono) che, fin dal 1998,
erano sulle tracce della cellula terrorista di Chicago che veniva tenuta sotto
controllo in relazione agli attentati di quellanno contro le ambasciate
americane in Africa. I due scoprono che la loro pista li porta al finanziatore,
il magnate saudita Yassin al-Qadi, già noto ai servizi come finanziatore di
al-Qaeda. Segnalano il fatto ai vertici dellFBI che, nel corso dei tre
anni successivi, ostacolano e infine chiudono lindagine. Wright insiste
e la vicenda diventa pubblica. Come risultato riceverà una punizione e sarà
costretto a intentare causa allFBI per vedere riconosciuti i propri diritti.
Dopo l11 settembre, piangendo chiederà scusa ai familiari delle vittime
durante una conferenza stampa in cui ripete le sue accuse contro la dirigenza
dellFBI. Che è si noti come tutti i vertici di tutte le
organizzazioni coinvolte, ancora al suo posto. Un caso analogo, raccontato qui
e in altre ricostruzioni, è quello di un altro agente dellFBI, John ONeill.
Si tratta di un quadro di alto livello che, tra altre indagini connesse con
il terrorismo e al-Qaeda, si vede affidata quella dellattentato contro
la USS Cole nel maggior porto yemenita. Si reca nello Yemen con una squadra
di 200 investigatori, ma solo per trovare sulla sua strada lambasciatrice
statunitense Barbara Bodine che prima lo costringe a ridurre la squadra a cinquanta
uomini e poi gli impone la sospensione dellindagine. Anche ONeill
non tace. Nellestate 2001 rende noti i suoi sospetti e, per questo, viene
messo sotto inchiesta. Lascerà lFBI in agosto, per assumere lincarico
fatale di capo della sicurezza del World Trade Center. Morirà al 34-esimo piano
della Torre Nord.
E va detto subito, a questo punto, che dal libro di Marina Montesano trovano
puntuale conferma tutti i peggiori sospetti sui vertici del Federal Bureau of
Investigation degli Stati Uniti dAmerica. I due casi appena citati sono soltanto
alcuni dei misteriosi insabbiamenti, depistaggi, veri e propri salvacondotti
per i futuri terroristi, quasi tutti già ben noti allFBI e in parecchi casi
anche alla CIA, che hanno caratterizzato lintera vicenda della caccia ai dirottatori
prima dell11 settembre.
Del resto è questo uno dei segreti professionali meglio custodito tra i Servizi
segreti di ogni latitudine e longitudine: quello consistente nel mettere in
moto una miriade di agenti inconsapevoli. Persone, cioè, ciascuna delle quali
esegue ordini in perfetta buona fede, senza minimamente sospettare di essere
parte di una catena di operazioni una specie di catena di montaggio del complotto il cui scopo è del tutto diverso da quello che essi possono dedurre anche
analizzando con precisione lanello in cui si trovano.
In questa catena vi sono tuttavia diversi anelli ai quali viene assegnato il
compito di bloccare lindagine. Cioè personaggi che eseguono consapevolmente
un ruolo attivo di depistaggio.
Cè un altro aspetto da non perdere di vista per non cacciarsi nel vicolo cieco
delle semplificazioni, che a sua volta conduce a conclusioni errate. Non si
può dire «se lo sono fatto da sé». Non si può dire: «è stata
la CIA, o lFBI, o il Mossad, o lISI pakistano, o i Servizi segreti dellArabia
Saudita». Infatti, in nessun caso, mai, un Servizio segreto entra in campo
con la sua firma. Il fittissimo sottobosco di relazioni che lega tra di loro
tutti questi Servizi rende addirittura banale linterazione tra individui di
diversa provenienza ideologica, religiosa, nazionale. Il denaro è sempre il
collante principale.
Basterebbe tornare a vedere alcuni dei migliori film americani, a partire da
I tre giorni del condor, per rendersi conto che questa pratica non devessere
inventata perché è in azione da sempre. È la grandezza dei problemi politici
che sorgono a livello internazionale a dettare le dimensioni delle operazioni
di diversione che occorrono per cambiare il corso degli eventi. In questo caso
specifico il corso della storia.
Da questo lavoro emerge esattamente il contrario di una semplificazione: è un
intreccio molto complesso in cui intervengono spezzoni, singole persone, agenti
provocatori, agenti retired, che lavorano in proprio, che non sono a
libro paga, che progettano e poi spariscono, sicuramente doppi e tripli, a loro
volta incaricati di eseguire solo alcuni segmenti delloperazione, ciascuno
interessato a obbedire agli ordini di un padrone o superiore (in parecchi casi
a più duno), il quale, a sua volta, conosce soltanto un dettaglio, ma non lintero
piano.
Ne consegue che operazioni di questa portata richiedono una lunga preparazione.
Non solo. Si tratta quasi sempre di operazioni multiple, che prevedono un certo
numero di obiettivi intercambiabili, tutti volti allo stesso risultato, sui
quali si lavora simultaneamente, fino a che il ponte di comando
non decide scegliendo uno dei piani tra quelli che erano stati predisposti e
che stavano procedendo parallelamente. Molte delle pedine operative agiscono
su diversi progetti simultaneamente e vengono informate dellultimo ordine operativo
solo a poche ore dallesecuzione. Stando a uno dei nastri attribuiti a Osama
bin Laden, nemmeno i dirottatori si conoscevano tra di loro fino al momento
in cui salirono sui rispettivi aerei. Ecco perché quelli del volo 93 secondo
i racconti si mettono il nastro rosso alla fronte: per riconoscersi tra di
loro.
Non viene in mente lanalogia con il gruppo brigatista rosso
che rapì Aldo Moro e uccise i suoi cinque uomini di guardia in via Fani? Anche
quelli indossavano divise uguali. Cosa molto rischiosa, perché, in caso di inseguimento,
sarebbero stati individuati più facilmente, ma che consentiva loro di riconoscersi
al momento dellassalto e di non spararsi addosso vicendevolmente. Il che
dimostra, a sua volta, che alloperazione presero parte non solo dei rivoluzionari,
ma anche altri specialisti di diversa provenienza, che probabilmente sapevano
sparare meglio, ma che non erano per niente rivoluzionari, tantè
che erano sconosciuti agli altri. Anche in quel caso resta da scoprire chi fu
lorganizzatore che mise insieme i diversi aspetti del puzzle. Da allora sono
passati 24 anni. E si trattava, in fondo, di fermare lingresso dei comunisti
al governo in una delle province lontane degli Stati Uniti.
Si può immaginare quanto tempo ci vorrà perché la vera storia dell11 settembre
emerga alla superficie. In questo caso, come ricorda limpressionante citazione
nellultima pagina, la posta in gioco era, ed è, il dominio del pianeta. Anche
questa non è una supposizione. È scritta, nero su bianco, in un documento (il
«Progetto per il Nuovo Secolo Americano») che porta la firma di
quasi tutti i membri dellattuale amministrazione americana. E che fu scritto
molto tempo prima dell11 settembre 2001, alla metà degli anni 90.
Scrivevano così, allora, questi signori, in un momento in cui il trionfo mondiale
degli Stati Uniti già non poteva essere messo in discussione. «[…] Il
processo di trasformazione, anche se conduce a un cambiamento rivoluzionario,
sarà probabilmente lento, in assenza di un evento catastrofico e catalizzatore,
come una nuova Pearl Harbor». Dove stavano guardando i neocons
che scrivevano queste righe tremende? Qual era la sfera di cristallo in cui
scrutavano i destini del pianeta? E perché mai, essendo i vincitori incontrastati
nella grande battaglia della guerra fredda, sentivano il bisogno di altri cambiamenti
rivoluzionari? Non si è mai visto un giocatore di scacchi che, avendo
già vinto la partita, si alzi allimprovviso e dia un calcio alla scacchiera,
rovesciandola. O la stavano perdendo?
E come spiegare la più impressionante falsificazione elettorale della storia
degli Stati Uniti, quella che Luciano Canfora definisce un «colpo di Stato
elettorale» e che Michael Moore, senza mezzi termini, definisce una truffa,
organizzata con largo anticipo, che togliendo il diritto di voto a decine di
migliaia di elettori neri della Florida, ha portato al potere il perdente? Un
anno prima dell11 settembre, lo stesso anno del crollo della Enron e di WorldCom,
nel pieno del disastro di Wall Street?
Grazie a questo certosino lavoro di raccolta, una specie di abito a toppe, fatto
di ritagli di verità, ma interamente basato su fonti rigorosamente controllate,
tutti questi interrogativi diventano palpabili e terrificanti.
Siamo infatti di fronte non a ipotesi ma a fonti che possono essere tutte definite
ufficiali. Sia perché quasi sempre sono fonti governative, e nel
senso più lato, notizie pubblicate e non smentite da organi di stampa tanto
autorevoli da poter essere considerati, spesso a ragione, fonti del potere.
Oppure (più raramente) da media che, pur essendo critici e indipendenti rispetto
ai poteri, hanno conservato un tale prestigio da non poter essere accusati di
preconcette parzialità. Intendo dire con ciò che non cè un solo giornalista
serio che, dopo aver letto queste pagine, possa chiudere il volume con unalzata
di spalle dicendo a se stesso che si tratta di opinioni.
Naturalmente questa accurata e metodica ricerca di dati non esaurisce il campo.
Spezzoni dei Servizi segreti di un pugno di paesi, a cominciare da quelli degli
Stati Uniti, possiedono certamente molte altre informazioni al riguardo. Ma è questo il punto non li rendono e non li renderanno mai noti al grande
pubblico, e nemmeno al pubblico degli esperti, dei giornalisti, degli accademici.
Per altro tutto questo lavoro, alla fine dei conti, è già una prova: la prova
della ramificata serie di operazioni di diversione che sono state messe in atto
per evitare che la verità dellaccaduto emergesse alla superficie. Non è stato
Osama bin Laden a fare tutto questo. Non da solo. Da solo non poteva. Ce lo
ha ricordato anche il generale Pervez Musharraf, presidente del Pakistan.
E allora perché lhanno fatto?
Viene alla mente il dialogo tra il presidente Truman e il suo segretario di
stato dellepoca, Dean Acheson. A Truman, che si chiedeva angosciato come armare
fino ai denti gli Stati Uniti, per fare fronte alla minaccia sovietica, di fronte
a unopinione pubblica americana che non voleva, Acheson rispose: «Non
cè che un modo, signor presidente: terrorizzare gli americani». Lha
ricordato Gore Vidal in un suo scritto profetico, pubblicato tre anni prima
delle Twin Towers, come se stesse leggendo il «Progetto per il Nuovo Secolo
Americano». E cè un passaggio del suo romanzo Letà delloro (scritto
anchesso molto prima dell11 settembre), dove questa idea si riaffaccia terribile
e semplice. È il dialogo tra due protagonisti del romanzo, proprio nei mesi
che precedettero lentrata in guerra degli Stati Uniti contro il Giappone. Regnava
Franklin Delano Roosevelt.
Uno è il più vicino consigliere del presidente, laltra è la proprietaria di
un grande giornale, entrambi realmente esistiti; e anche il dialogo, come Gore
Vidal lascia capire, non è solo frutto della sua fantasia di artista.
«[…] Nessuno dei nostri figli [...] combatterà mai in una guerra straniera, a meno che non veniamo attaccati».
Caroline strizzò gli occhi: «Tutto questo è davvero temerario».
«È il destino a decidere quello che va fatto, ne sono convinto. Comunque non si può andare in guerra senza che il popolo che hai dietro sia unito. Bè, neanche si avvicina ad esserlo, neanche se continuiamo a perdere nave dopo nave per colpa dei nazisti e nessuno batte ciglio». Quindi dobbiamo prendere un bel colpo e poi...
Si fermò. «Poi cosa?».
«Poi ci muoviamo e prendiamo tutto».
«Cosè tutto?».
«Il mondo. Che altro cè da prendersi?».
Marina Montesano, Mistero americano. Ipotesi sull11
settembre,
Dedalo, Bari, 2004, pp. 200, ISBN 88-220-5342-7, € 15,00