"METODO", N. 15/1999

Marco Berrini
LA PASSIONE SECONDO LUCA DI JOHANN SEBASTIAN BACH

Johann Sebastian Bach nell’arco della sua vita compose cinque Passioni, in una stesura completa. Di queste, solo due ci sono familiari: la Passione secondo San Marco e la Passione secondo San Giovanni. Queste due erano state lasciate da Bach in eredità al figlio Karl Philipp Emanuel, che nel carattere, come coscienza e serietà, ricordava molto il padre. Le altre tre partiture finirono al figlio più anziano, Wilhelm Friedemann. dal carattere debole e che le circostanze costrìngeranno a separarsi poco per volta dai manoscritti paterni. Delle tre Passioni che ereditò, due dobbiamo considerarle irrimediabilmente perdute.
La Passione secondo San Luca si differenzia da quelle di Matteo e Giovanni per un certo numero di particolari e sembrerebbe trattarsi di una stesura molto precedente a quelle due. Il lavoro è in prevalenza nel "vecchio" stile, con largo uso di corali e impiego relativamente scarso di arie e cori di stampo lirico e drammatico. Una di queste arie, Selbst der Bau der Welterschuttert, in effetti sembra essere in qualche modo una sorta di tentativo ed è piuttosto debole, ma le altre arie ed i cori non mancano di forza e di individualità e non sfigurano al confronto con le migliori Cantate bachiane del periodo di Weimar.
La storia è tratta direttamente dai Capitoli XXII e XXIII del Vangelo di Luca e i recitativi ed i cori seguono l’originale parola per parola. Come nella Passione di Giovanni e di Matteo, il ruolo dell’Evangelista è affidato al tenore e quello di Gesù al basso. Lo stile melodico dei recitativi è immediatamente individuabile come bachiano mentre le concatenazioni armoniche dell’accompagnamento paiono qualitativamente inferiori ai lavori successivi. L’organico orchestrale comprende due flauti traversi, due oboi, fagotto, due violini e una viola. La scrittura per il fagotto ha un rilievo particolare e lo studioso bachiano Philipp Spitta notò che Bach mostrava una speciale predilezione per questo strumento durante la sua permanenza a Weimar, probabilmente perché nell’orchestra che ivi operava si trovava un suonatore di fagotto particolarmente bravo.
Di notevole interesse sono i corali, parecchi dei quali Bach ha inserito nella Passione secondo Matteo e nelle Cantate. Era altresì uso che i fedeli si unissero al canto delle melodie dei corali, e per questa ragione venivano impiegati inni a loro già noti.
Nonostante la presenza di elementi tipicamente bachiani nella Passione secondo San Luca, più volte sono stati espressi dubbi sulla sua paternità.
Mendelssohn, che nel 1829 riportò alla luce e ripropose la Passione secondo Matteo, alimentando così quel rinnovato interesse per Bach dopo circa un secolo di oblio, contestò decisamente la Passione secondo San Luca. In una lettera all’amico Franz Hauser, che si era procurato il manoscritto, scrisse: "Mi spiace che tu abbia sborsato così tanti soldi per la Passione di Luca. Certo, per un manoscritto, quale è, non hai speso molto, ma indubbiamente non si tratta di opera di Bach. Tu mi chiederai: ‘Su quali basi dici che la Passione secondo Luca non è musica di Bach?’ Sul piano intrinseco. È deplorevole che debba sostenere questo, quando il manoscritto è diventato tuo, ma guarda solo il corale Troste mich und mach mich Satt! Indubbiamente la mano che lo ha scritto è quella di Bach. Ma è troppo lineare. Lo ha copiato. ‘Di chi è, allora?’ dirai. Di Telemann, di M. Bach, di Alt Nichel, di Jung Nichel, di un qualche Nichel? Che ne so? Non è di Bach".
Mentre le parole di Mendelssohn esercitarono una profonda influenza durante il XIX secolo, gli studiosi moderni arrivarono a saperne molto di più sul come eseguire la musica corale di Bach, e così non diedero più molto peso alla sua opinione. Allorché Mendelssohn ripropose la Passione secondo San Matteo, fece uso di un coro di tre o quattrocento elementi, stabilendo così un modello che sarebbe durato fino agli anni Venti di questo secolo. Un tale numero di voci non solo era di gran lunga sproporzionato rispetto a quelle (al massimo cinquantacinque) che Bach aveva a disposizione a Lipsia, ma addirittura perde ogni senso se si considera che lo stesso Bach considerava un coro di dodici elementi un minimo accettabile. Che la delicata struttura della Passione secondo San Luca non possa sostenere un coro di trecento voci è certamente fuori discussione: anzi, per la maggior parte degli studiosi moderni, non c’è musica di Bach che lo regga.
Un fatto comunque resta certo: il manoscritto fu redatto da Bach di suo pugno. Inoltre nel frontespizio reca le lettere J.J. (Jesu, Juva! Gesù aiutami!), con cui regolarmente Bach contrassegnava le partiture di musica sacra, e che - per quanto sappiamo - non mise mai su copie di lavori altrui. Inoltre la "calligrafia" stessa ci riporta chiaramente al periodo bachiano di Lipsia, probabilmente ad una data posteriore alla composizione della Passione di Giovanni e di Matteo, anche se la musica in sé appare meno "matura" e sviluppata di quanto non sia in queste due.
Il grande studioso e biografo di Bach, Philipp Spitta, dopo accurato studio arrivò alla conclusione che questa Passione è non solo genuinamente bachiana, ma è la prima delle cinque.
Susseguentemente la Bach-Gesellschaft riconobbe l’autenticità dell’opera e la incluse nell’edizione completa delle opere. Wolfgang Schmieder, che curò il catalogo definitivo delle composizioni di Johann Sebastian Bach, ne concluse pure la genuinità. Ma la sola autenticità non sarebbe poi del tutto sufficiente se la musica mancasse di quella preziosa bellezza che siamo soliti trovare nelle composizioni sacre di Bach. Fortunatamente tale bellezza si trova in abbondanza anche in questo lavoro, che accomuna drammaticità d’ispirazione e varietà melodica.
Non possiamo però mancare di citare il parere di Albert Schweitzer, che nel libro su Bach, a proposito della Passione secondo San Luca, scrive: "La Passione secondo San Luca non può essere di Bach, ma deve trattarsi dell’opera di qualche sconosciuto che Bach ha copiato inserendovi qua e là opportune modifiche: gli unici punti in cui brilla un po’ di luce". Come si vede, dunque, la questione resta aperta e fa sì che la maggior parte degli odierni studiosi di Bach – sia a livello specialistico, sia in scritti di più ampio respiro storico enciclopedico – o affrontino con cautela l’argomento evitando di prendere posizione pro o contro l’autenticità dell’opera, o addirittura tralascino di trattare l’argomento (è il caso ad esempio di Paul Steinitz, che nel quinto volume della monumentale The New Oxford History of Music, dedicato alla musica sacra di quel periodo, non ne fa alcuna menzione). Alberto Basso, autore di uno dei più recenti contributi critici all’opera di Bach, ribadisce che "[...] spuria è una Lukas-Passion, pervenuta autografa ma sicuramente copiata da un manoscritto di altro autore, forse intorno al 1712".
Forse in un futuro si potrà dire la parola definitiva su questo lavoro che, pur non essendo fra i maggiori del suo genere, è indubbiamente una testimonianza non trascurabile sul grande di Eisenach e sulla pratica che egli aveva di copiare musica di altri autori, assimilandola e trasformandola con l’impronta inconfondibile del suo genio. Impronta che si nota sicuramente anche in questa Passione e che eleva la materia musicale, facendola brillare di luce nuova.