Marco Berrini
LA PASSIONE SECONDO LUCA DI JOHANN SEBASTIAN BACH
Johann Sebastian Bach nell’arco della sua vita compose
cinque Passioni, in una stesura completa. Di queste, solo due ci sono familiari:
la Passione secondo San Marco e la Passione secondo San Giovanni.
Queste due erano state lasciate da Bach in eredità al figlio Karl
Philipp Emanuel, che nel carattere, come coscienza e serietà, ricordava
molto il padre. Le altre tre partiture finirono al figlio più anziano,
Wilhelm Friedemann. dal carattere debole e che le circostanze costrìngeranno
a separarsi poco per volta dai manoscritti paterni. Delle tre Passioni
che ereditò, due dobbiamo considerarle irrimediabilmente perdute.
La Passione secondo San Luca si differenzia da
quelle di Matteo e Giovanni per un certo numero di particolari e sembrerebbe
trattarsi di una stesura molto precedente a quelle due. Il lavoro è
in prevalenza nel "vecchio" stile, con largo uso di corali e impiego relativamente
scarso di arie e cori di stampo lirico e drammatico. Una di queste arie,
Selbst
der Bau der Welterschuttert, in effetti sembra essere in qualche modo
una sorta di tentativo ed è piuttosto debole, ma le altre arie ed
i cori non mancano di forza e di individualità e non sfigurano al
confronto con le migliori Cantate bachiane del periodo di Weimar.
La storia è tratta direttamente dai Capitoli XXII
e XXIII del Vangelo di Luca e i recitativi ed i cori seguono l’originale
parola per parola. Come nella Passione di Giovanni e di Matteo,
il ruolo dell’Evangelista è affidato al tenore e quello di Gesù
al basso. Lo stile melodico dei recitativi è immediatamente individuabile
come bachiano mentre le concatenazioni armoniche dell’accompagnamento paiono
qualitativamente inferiori ai lavori successivi. L’organico orchestrale
comprende due flauti traversi, due oboi, fagotto, due violini e una viola.
La scrittura per il fagotto ha un rilievo particolare e lo studioso bachiano
Philipp Spitta notò che Bach mostrava una speciale predilezione
per questo strumento durante la sua permanenza a Weimar, probabilmente
perché nell’orchestra che ivi operava si trovava un suonatore di
fagotto particolarmente bravo.
Di notevole interesse sono i corali, parecchi dei quali
Bach ha inserito nella Passione secondo Matteo e nelle Cantate.
Era altresì uso che i fedeli si unissero al canto delle melodie
dei corali, e per questa ragione venivano impiegati inni a loro già
noti.
Nonostante la presenza di elementi tipicamente bachiani
nella Passione secondo San Luca, più volte sono stati espressi
dubbi sulla sua paternità.
Mendelssohn, che nel 1829 riportò alla luce e
ripropose la Passione secondo Matteo, alimentando così quel
rinnovato interesse per Bach dopo circa un secolo di oblio, contestò
decisamente la Passione secondo San Luca. In una lettera all’amico
Franz Hauser, che si era procurato il manoscritto, scrisse: "Mi spiace
che tu abbia sborsato così tanti soldi per la Passione di Luca.
Certo, per un manoscritto, quale è, non hai speso molto, ma indubbiamente
non si tratta di opera di Bach. Tu mi chiederai: ‘Su quali basi dici che
la Passione secondo Luca non è musica di Bach?’ Sul piano
intrinseco. È deplorevole che debba sostenere questo, quando il
manoscritto è diventato tuo, ma guarda solo il corale Troste
mich und mach mich Satt! Indubbiamente la mano che lo ha scritto è
quella di Bach. Ma è troppo lineare. Lo ha copiato. ‘Di chi è,
allora?’ dirai. Di Telemann, di M. Bach, di Alt Nichel, di Jung Nichel,
di un qualche Nichel? Che ne so? Non è di Bach".
Mentre le parole di Mendelssohn esercitarono una profonda
influenza durante il XIX secolo, gli studiosi moderni arrivarono a saperne
molto di più sul come eseguire la musica corale di Bach, e così
non diedero più molto peso alla sua opinione. Allorché Mendelssohn
ripropose la Passione secondo San Matteo, fece uso di un coro di
tre o quattrocento elementi, stabilendo così un modello che sarebbe
durato fino agli anni Venti di questo secolo. Un tale numero di voci non
solo era di gran lunga sproporzionato rispetto a quelle (al massimo cinquantacinque)
che Bach aveva a disposizione a Lipsia, ma addirittura perde ogni senso
se si considera che lo stesso Bach considerava un coro di dodici elementi
un minimo accettabile. Che la delicata struttura della Passione secondo
San Luca non possa sostenere un coro di trecento voci è certamente
fuori discussione: anzi, per la maggior parte degli studiosi moderni, non
c’è musica di Bach che lo regga.
Un fatto comunque resta certo: il manoscritto fu redatto
da Bach di suo pugno. Inoltre nel frontespizio reca le lettere J.J. (Jesu,
Juva! Gesù aiutami!), con cui regolarmente Bach contrassegnava
le partiture di musica sacra, e che - per quanto sappiamo - non mise mai
su copie di lavori altrui. Inoltre la "calligrafia" stessa ci riporta chiaramente
al periodo bachiano di Lipsia, probabilmente ad una data posteriore alla
composizione della Passione di Giovanni e di Matteo, anche
se la musica in sé appare meno "matura" e sviluppata di quanto non
sia in queste due.
Il grande studioso e biografo di Bach, Philipp Spitta,
dopo accurato studio arrivò alla conclusione che questa Passione
è non solo genuinamente bachiana, ma è la prima delle cinque.
Susseguentemente la Bach-Gesellschaft riconobbe
l’autenticità dell’opera e la incluse nell’edizione completa delle
opere. Wolfgang Schmieder, che curò il catalogo definitivo delle
composizioni di Johann Sebastian Bach, ne concluse pure la genuinità.
Ma la sola autenticità non sarebbe poi del tutto sufficiente se
la musica mancasse di quella preziosa bellezza che siamo soliti trovare
nelle composizioni sacre di Bach. Fortunatamente tale bellezza si trova
in abbondanza anche in questo lavoro, che accomuna drammaticità
d’ispirazione e varietà melodica.
Non possiamo però mancare di citare il parere
di Albert Schweitzer, che nel libro su Bach, a proposito della Passione
secondo San Luca, scrive: "La Passione secondo San Luca non
può essere di Bach, ma deve trattarsi dell’opera di qualche sconosciuto
che Bach ha copiato inserendovi qua e là opportune modifiche: gli
unici punti in cui brilla un po’ di luce". Come si vede, dunque, la questione
resta aperta e fa sì che la maggior parte degli odierni studiosi
di Bach – sia a livello specialistico, sia in scritti di più ampio
respiro storico enciclopedico – o affrontino con cautela l’argomento evitando
di prendere posizione pro o contro l’autenticità dell’opera, o addirittura
tralascino di trattare l’argomento (è il caso ad esempio di Paul
Steinitz, che nel quinto volume della monumentale The New Oxford History
of Music, dedicato alla musica sacra di quel periodo, non ne fa alcuna
menzione). Alberto Basso, autore di uno dei più recenti contributi
critici all’opera di Bach, ribadisce che "[...] spuria è una Lukas-Passion,
pervenuta
autografa ma sicuramente copiata da un manoscritto di altro autore, forse
intorno al 1712".
Forse in un futuro si potrà dire la parola definitiva
su questo lavoro che, pur non essendo fra i maggiori del suo genere, è
indubbiamente una testimonianza non trascurabile sul grande di Eisenach
e sulla pratica che egli aveva di copiare musica di altri autori, assimilandola
e trasformandola con l’impronta inconfondibile del suo genio. Impronta
che si nota sicuramente anche in questa Passione e che eleva la materia
musicale, facendola brillare di luce nuova.