Alessandro Bedini
(Giornalista
e saggista)
GIORGIO LA PIRA, FRA ITALIA E MONDO
La figura e lopera di Giorgio la Pira, che i fiorentini
chiamano ancora oggi il Sindaco Santo, restano un punto di riferimento per tutti
coloro che intendono la politica come servizio, non separabile da un profondo
significato etico e dal rispetto per le tradizioni, sia laiche che religiose,
che ad essa debbono ispirarsi.Cattolico integralista e allo stesso tempo raro
esempio di tolleranza, dava del "fratello mio" a Togliatti, a Di Vittorio, a
Secchia, la domanda che La Pira si pose fin dallinizio della sua attività
pubblica fu, messosi di fronte alle diverse dottrine politiche: "quali di esse
dobbiamo accogliere e quali respingere volendo seguire fedelmente il pensiero
cattolico?" La sua vita e la sua militanza politica, culturale e religiosa ruotano
intorno a questo interrogativo. Sbaglierebbe chi volesse vedere in tale aspirazione,
tutta cristiana, alla fratellanza, un cedimento nei confronti di ideologie estranee
alla fede. E proprio nellaver saputo coniugare la tolleranza con
il rigore dottrinale che gli proveniva dalla sua intensa, vissuta religiosità,
che consiste lassoluta originalità della lezione lapiriana.
Egli infatti si richiamava molto spesso alla dottrina sociale della chiesa,
da Leone XIII a Pio XII, e proprio in base a ciò formulò le critiche più radicali
al pensiero di Hegel, di Rousseau e di Marx, opponendo ad esse il pensiero cattolico
e insistendo, come soleva, sulla struttura integrale delluomo e sul suo
fine trascendente.
Era nato nel 1904 a Pozzallo in provincia di Ragusa, primogenito di una famiglia
di umili condizioni. A prezzo di grandi sacrifici era riuscito a diplomarsi
in ragioneria, aveva poi conseguito la maturità classica e infine la Laurea
in giurisprudenza a Messina. A Firenze era approdato nel 1924 e subito aveva
manifestato la sua sollecitudine verso i poveri.
Nacque così, tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta, lesperienza
della Messa di San Procolo, una chiesa abbandonata che diventò, grazie alliniziativa
di La Pira, un luogo dincontro dove pregare e riflettere con i poveri
sulla chiesa, su Firenze e sul mondo. Quellesperienza proseguirà poi presso
Badia Fiorentina. In quegli anni diventa docente di Diritto Romano allUniversità
di Firenze, presso la Facoltà di Giurisprudenza di via Laura dove gli studenti
lo incontravano e si soffermavano con lui a parlare dei grandi progetti che
il futuro Sindaco già accarezzava. Tra il 1929 e il 1939 entra in contatto con
importanti personaggi del mondo cattolico italiano come padre Agostino Gemelli
e Giuseppe Lazzati, che lo ricorderà affettuosamente in un celebre saggio comparso
nel 1978 su La civiltà cattolica.
Sono gli anni dellimpegno culturale, mai disgiunto da quello religioso:
La Pira collabora al Frontespizio milita nellAzione Cattolica giovanile,
e nel 1939 fonda la rivista Principi nella quale sottolinea i temi relativi
alla persona umana che vengono prima di quelli politici: "tutti i valori creati,
compresi quelli sociali, hanno per luomo funzione di mezzo, costituiscono
quella scala di valori che egli deve normalmente percorrere per giungere al
suo ultimo fine; sono litinerario al termine e al di là del quale cè
il riposo e la perfezione: Dio raggiunto e posseduto per sempre". Da qui traeva
origine la sua ripulsa per il totalitarismo sotto qualsiasi forma: fascismo,
nazismo, comunismo. A questo proposito La Pira era solito ripetere: "non per
il proletariato o per la razza o per lo stato, Dio mi ha messo al mondo, ma
per sviluppare nella mia vita interiore e nella mia vita di relazione la chiamata
santa alla verità e al bene". Tra il 15 luglio e l8 settembre del 1943
crea il foglio clandestino San Marco, avversato dal regime che costringerà
La Pira a interrompere le pubblicazioni. Nel 1946 viene eletto allAssemblea
Costituente e nel 1947 insieme a Dossetti, Fanfani e Lazzati dà vita a Cronache
sociali, una rivista che esprime, dal punto di vista cattolico, le istanze
del rinnovamento democratico in Italia.
Nel 1948 è nominato Sottosegretario al Ministero del Lavoro ma limpegno
politico sembra andargli stretto. Nel 1951 viene eletto Sindaco di Firenze,
lo rimarrà, salvo una breve interruzione, fino al 1965, sono gli anni del dopoguerra,
della faticosa ricostruzione di un paese profondamente lacerato dalla guerra
civile. Nel 1954 La Pira viene aspramente criticato dalle formazioni liberali
per aver concesso il Parco delle Cascine per la Festa de lUnità.
Ne è profondamente amareggiato, scrive al suo antico amico mons. Angelo dellAcqua:
"uomini come me non devono essere partecipi di quel mondo politico che ha ed
esige - almeno si dice - dimensioni tattiche che noi non possediamo. Non ho
mai voluto essere né deputato né Sindaco: mi ci hanno violentemente posto in
questi luoghi, nei quali, per starci e per restarci, ci vogliono attitudini
di altro livello e di altra natura da quelli che tipi come il mio possiedono".
Nel pubblicare questa lettera nel suo libro Giorgio La Pira. Un profilo e
24 lettere inedite, Amintore Fanfani gli contesterà con validi argomenti
la negata vocazione alla politica. Intanto La Pira si dedica alla ricostruzione
di Firenze. Sotto la sua amministrazione vengono ripristinati il ponte Alle
Grazie, Vespucci e Santa Trinita, distrutti dai bombardamenti. Prende corpo
il nuovo quartiere dellIsolotto. Ma una grave crisi incombe sulla citta,
si tratta dei circa tremila operai del Pignone che stanno per perdere il posto
di lavoro a causa della decisione della direzione di chiudere la fabbrica. Il
Sindaco si schiera dalla parte degli operai, non dorme la notte, mobilita mezzo
mondo per tentare di impedire la chiusura. Alla fine si rivolge a Enrico Mattei,
il presidente dellAGIP obietta che lui si occupa di petrolio e non di
metalmeccanica. Ma La Pira non demorde, si reca a Roma "assedia" Mattei e infine
lAGIP decide di affiliarsi allo stabilimento fiorentino: il Pignone era
salvo. Tutto ciò gli valse le accuse di "comunista bianco" e "comunista di sagrestia",
niente di più erratto. Ne è testimonianza uno scambio epistolare tra il Sindaco
di Firenze e Don Sturzo. Questultimo, a proposito dellimpegno di
La Pira per gli operai, nel frattempo era intervenuto per difendere gli occupati
della Richard-Ginori, della Galileo e della Fonderia delle Cure, ricordava a
La Pira che i cattolici devono essere interclassisti e non statalisti, considerando
lo stato come unica fonte del diritto, se non si vuol finire, ammoniva il leader
della DC, in una sorta di "marxismo spiurio". Il Sindaco rispose con una lunga
lettera. Dopo aver presentato al maestro di Caltagirone la cartella clinica
di Firenze: 10000 disoccupati, 3000 sfrattati, 17000 libretti di povertà, concludeva:
"davanti a tutti questi feriti buttati a terra dai ladroni, come la parabola
del Samaritano, cosa deve fare il Sindaco? Può lavarsi le mani dicendo a tutti:
scusate, non posso interessarmi di voi perchè non sono statalista ma interclassista?".
Una risposta che traeva origine dal Vangelo e non dallideologia, è questo
il tratto essenziale per capire la personalità di Giorgio La Pira. Nei suoi
scritti la declinazione della parola evangelica con limpegno sociale è
ancor più chiara. Nel suo testo intitolato Premesse alla politica, egli
muove dal principio secondo cui ogni movimento politico parte da una metafisica
e da una metapolitica. Il nazismo e ogni nazionalismo oltranzista traggono origine
dal pensiero hegeliano. Anche il marxismo si appoggia alle teorie di Hegel;
leconomia e la politica borghese hanno le loro radici nellilluminismo
materialista. Per salvare luomo dalle deleterie concezioni che lo hanno
travolto - scrive ancora La Pira ne Il valore della persona umana - bisogna
ritornare alla retta concezione tramandata dal pensiero cattolico: luomo,
svincolato da ogni monismo materialista o idealista, si presenta come soggetto
che precede lo stato e tende, attraverso la vita sociale, a conseguire i fini
immanenti alla sua natura. È evidente l ispirazione a San Tommaso
che si concretizza nel postulare la società come mezzo e non come fine, subordinata
dunque al benessere fisico e spirituale della persona. Nel suo libro Le città
sono vive, egli enunciava così il suo ideale: "in una città un posto ci
deve essere per tutti: un posto per pregare (la chiesa), un posto per amare
(la casa), un posto per lavorare (lofficina), un posto per imparare (la
scuola), un posto per guarire (lospedale)".
Un capitolo a parte merita lattività internazionale di La Pira. Un attivismo
che ha del profetico e che fu osteggiato dalle cancellerie occidentali, compresi
i governi italiani. Il cattolico integralista aveva un profondo rispetto per
lIslâm e il mondo ebraico. Credeva nel dialogo fra le tre grandi
religioni monoteiste e fece di questa convinzione uno dei pilastri della sua
politica. Negli anni caldi della guerra algerina riuscì a fare incontrare a
Firenze personalità francesi vicine a de Gaulle e rappresentanti dellFLN;
esponenti del mondo arabo e rappresentati di forze politiche della sinistra
israeliana. Nel 1959, in piena guerra fredda, parlò a Mosca di fronte al Soviet
Supremo insistendo sui temi della distenzione e del disarmo. Da sempre vicino
al mondo arabo mediorientale, fece di tutto per scongiurare la guerra dei sei
giorni e riavvicinare il Cairo e Tel Aviv. La sua attività internazionale fu
incessante. Nel 1952 aveva organizzato a Firenze il primo Convegno Internazionale
per la Pace e la Civiltà Cristiana e nel 1955 i sindaci di moltissime capitali
del mondo siglarono in Palazzo Vecchio un patto di amicizia. Sempre nel 52
era stato pubblicato un suo opuscolo di un centinaio di pagine dal titolo Lattesa
della povera gente, dove La Pira, dopo aver esposto le dimensioni mondiali
dei problemi dei poveri, si chiedeva se alla luce della fede religiosa, della
metafisica, della storia delleconomia e della politica, i due più tremendi
nemici dei poveri - disoccupazione e miseria - possano essere vinti. La risposta
naturalmente era affermativa. Lattualità di un simile interrogativo, nellepoca
della globalizzazione, balza agli occhi. Nel 1965 decide di recarsi ad Hanoi
per incontrare Ho Chi Minh. Assieme al presidente vietnamita mise a punto una
serie di proposte che, se fossero state accettate dallOccidente, avrebbero
potuto fermare la sanguinosa guerra del Vietnam con almeno dieci anni danticipo.
La Pira per la sua attività di politica estera, ebbe lettere di consenso da
Nasser e da Chrucëv ma anche da Ben Gurion e da Thomas Merton. Alla
sua morte Paolo VI, in un telegramma allArcivescovo di Firenze scriveva:
"con cuore commosso ricordiamo la coerente testimonianza cristiana, il sincero
anelito ed il contributo alla pace ed alla concordia tra gli uomini". Sulle
colonne di Paese sera, quotidiano vicino al Partito Comunista, Giulio
Goria osservava: "Giorgio La Pira, con i suoi occhi sorridenti, il gesto affabile,
il suo candore, la sua innocenza è stato, in realtà, una delle coscienze più
alte e singolari che il cattolicesimo moderno abbia prodotto in Italia. Credeva
nella profezia e nella Provvidenza in modo totale. È andato tra i popoli,
povero ambasciatore e senza credenziali, gridando pace e sembrando un Don Chisciotte
soltanto ai cinici. Per lui la parola di Cristo non doveva restare scritta sulla
pagina, ma inserirsi direttamente nella realtà per modificarla dal profondo.
Molta di questa forza è restata sterile per il contesto nel quale era posta".
Anche oggi la parola di La Pira resterebbe sterile? Lepoca che stiamo
vivendo è unepoca di guerre, di violenza, di sopraffazioni come la sua.
Giorgio La Pira, profeta disarmato, avrebbe comunque levato alta la sua sfida.
Una sfida che sgorga dal Vangelo e che parla di pace e giustizia tra i popoli.
Una pace e una giustizia che gli uomini, oggi più che mai, sembrano aver dimenticato.
È forse anche per questo che, al di là delle ricorrenze, il Sindaco Santo
è stato circondato dalloblio, proprio come nei suoi ultimi anni di vita
che furono anni di doloroso isolamento. Era il 5 novembre 1977, un "sabato senza
vespri", quello che lui amava. La Pira concluse quel giorno il suo pellegrinaggio
terreno. Nel 1986 inizia la causa di beatificazione, ancora in corso. Specie
negli ultimi tempi era solito ripetere con Isaia: "Venite, saliamo sul monte
del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe perchè cistruisca sulle sue
vie e camminiamo nei suoi sentieri".