"METODO", N. 17/2001

Andrea Baldasserini
IL FASCISMO E L’ISLAM DI ENRICO GALOPPINI

C’è da scommetterci, più d’uno arriccerà la fronte, cercherà di darsi una spiegazione di che cosa avessero da spartire il Fascismo e l’Islàm. Certo, il lettore un po’ superficiale, quello che si accontenta di schemi preconcetti condizionati dalle dicotomie assurte nel secondo dopoguerra a valore di dogma - destra/sinistra, razzismo/antirazzismo, antisemitismo/filosemitismo, neocolonialismo/terzomondismo e così via - faticherà non poco a darsi ragione di un complesso rapporto che invece vi fu.
Analizzare nelle sue linee guida questo rapporto e fornirne un’interpretazione, tra luci ed ombre, ostacoli e contraddizioni, è la ragion d’essere dello studio di Enrico Galoppini Il Fascismo e l’Islam (Edizioni All’Insegna del Veltro, Parma 2001, pp. 166, £. 24.000), nel quale l’Autore rende giustizia - per così dire - a personaggi e situazioni, anche rilevanti, che animarono una temperie per la quale, col senno di poi e a giochi fatti, è stata coniata da storici più interessati a fornire materiale utile alla cronaca mediorientale che al servizio della Verità, l’ingenerosa espressione di “filofascismo arabo”.
Indubbiamente, sia la parte fascista che quella arabo-musulmana - rivisitate qui nella loro complessità e non ridotte quindi a blocchi monolitici - perseguivano obiettivi di fondo differenti, ma è sulla via del loro raggiungimento che si trovarono a percorrere in compagnia alcuni tratti di strada.
Il libro, introdotto dal Prof. Franco Cardini (il quale sottolinea che “queste sia pur vaghe simpatie reciproche non ebbero mai nulla a che fare con l’antisemitismo, che non è mai stato proprio né di arabi né di musulmani e che, per il fascismo, fu il tardivo, strumentale e sciagurato frutto dell’alleanza politica col nazismo”) e recante un’appendice dell’Editore, Claudio Mutti, su La spada dell’Islam (uno dei pochi episodi generalmente resi noti al grande pubblico su questa vicenda, il più delle volte con tono di dileggio), esamina nella prima parte gli interessi comuni ad arabi ed italiani fin dagli anni che seguirono i diktat della Conferenza della pace di Versailles, descrive - fornendone una possibile chiave di lettura - i modi e i temi in cui si esplicò l’influenza fascista nel Vicino Oriente, tocca alcuni punti relativi ad un’impossibile (?) intesa di fondo tra l’Italia del Fascio Littorio e l’Islàm.
È nella seconda parte tuttavia, dedicata a La Libia nella politica islamica del fascismo, che i nodi di quella che spesso appare una strategia volta a contrastare l’egemonia franco-inglese nel Mediterraneo e a gestire le popolazioni musulmane dell’Impero, vengono al pettine. Qui l’Islam è sì incoraggiato - fino al punto da rendere difficile la vita a chi scorse l’occasione di una nuova evangelizzazione dell’Africa del Nord -, ma è soprattutto uno strumento d’ordine, progressivamente costretto alla sfera privata in ottemperanza a quel “date a Cesare” che poco si adatta all’intima essenza dell’Islàm. Ecco che l’interesse di questo volume supera nella sua seconda parte la stimolante vicenda dei rapporti italo-arabi per mostrarci come anche il fascismo - tra i cui elementi costitutivi è da annoverarsi anche l’avversione a molti dei principi dell’Illuminismo e ad un certo “progressismo” - in Colonia finì per appiattirsi nella riproduzione della retorica del progresso (dello “sviluppo” diremmo oggi) allestendo la versione in camicia nera della “missione di civiltà”, compreso l’imprescindibile bagaglio di “buone intenzioni” insito in ogni impresa d’oltremare.
Vi è infine un ultimo motivo d’interesse. Riflettendo sugli spunti offerti dallo studio di Enrico Galoppini, ciascuno potrà valutare quanto i toni della polemica (che è giusto che ci sia, per carità) sull’odierna presenza islamica in Italia siano lontani dall’impostazione data all’epoca alla delicata e fondamentale questione dei rapporti tra l’Italia e il mondo arabo-islamico.

Il volume, difficilmente reperibile nel circuito delle librerie, può essere ordinato direttamente c/o Edizioni All’Insegna del Veltro, Viale Osacca, 13 - 43100 Parma (tel. e fax 0521/290880, e-mail: insegnadelveltro@libero.it).