"METODO", N. 15/1999

Giovanni Armillotta
SU UN LIBRO "ALBANESE" DI FEDERICO EICHBERG

C’è una ragione del perché alcuni autorevoli albanologi italiani, di livello internazionale (Federico Eichberg, Emmanuela del Re, Alessandro Sfrecola, il sottoscritto, ecc.) oggi oscillino fra i trenta ed i quarant’anni, a dimostrazione non solo della loro eccelsa preparazione ed onestà intellettuale, bensì della crisi in cui si sono dibattuti gli storici di antico stampo, troppo condizionati nelle vesti debitorie di "consiglieri del Principe".
Oggi il problema della diffusione di opere sulla storia albanese diviene sempre più urgente nel panorama internazionale, mentre si accrescono e vengono a galla le lacune e i luoghi comuni di coloro che pretendevano di scarabocchiare qualche pagina di autorevole quotidiano che attribuisse loro la fama di "esperti". Infatti nell’ultimo quarto di secolo non si è mai letto un grande storico italiano (salvo illustri studiosi di diritto internazionale) imporsi all’attenzione mondiale in qualità di albanologi, nemmeno su argomenti strettamente collegati alla storia patria come, ad esempio, le relazioni italo-albanesi fra il 1939 ed il 1945 ed altri temi, c’era molta paura…
Al contrario – in specie negli anni 70-80 – capitava d’imbattersi in tediose apologie del regime titista, il cui unico scopo era quello di distrarre l’attenzione del lettore dalla repressione scatenantesi nella Kosova in nome dell’indipendenza jugoslava, minacciata dagli Albanesi che agivano "in nome e per conto della loro ‘stalinista’ madre patria". Ciò voleva offrire un’immagine in chiave storica di quel decantato paradiso federale ch’era la Jugoslavia monarchica prima, e comunista dopo: impostazione non solo prediletta da determinate correnti dell'estrema sinistra parlamentare italiana, ma anche cara a parte degli storici "silenziosi" italiani, rientranti nell’orbita politica o timorosi d’infrangere le mode storiografiche del tempo.
Il prodotto di tutto questo è che ci si rende conto che in Italia alcuni testi recenti riguardanti l’Albania sono stati scritti con estrema superficialità sull’ondata emotiva provocata dai gravi fatti di inizio ’97; articoli e libri redatti sul metodo "sputa sull’Albania e scrivi un libro", nell’ottica di far soldi a spese dello sprovveduto lettore desideroso d’informarsi in cinque minuti: qualcosa di talmente infimo, da lasciarci fra sdegno ed irritazione.
Il libro di Eichberg, invece, rappresenta un esempio di come demistificare tali stantii residui storiografici, ovvero il superamento dei sorpassati sistemi di scrivere attraverso l’ideologia, che altrove impedivano e impediscono un approccio allo studio della realtà storica non generico né elusivo dei problemi.
La scelta programmaticamente albanocentrica dell’opera consente ad Eichberg di accentrare la sua attenzione sulle vicende politiche interne albanesi, partendo dal principio di ricostruire la storia dalle fonti d’archivio italiane e dalla pubblicistica albanese del periodo hoxhano (tabù a lungo persistente).
Nella sintetica introduzione ("Premessa" e "Capitolo I") Eichberg, ricordando i tentativi di spartizione greco-serbi, cita la Lega di Prizren del 10 giugno 1878 come inizio della spinta da un lato autonomistica e dall’altro tradizionalmente filo-turca, in modo da preservare l’Albania pure dalle mire montenegrine e bulgare. I successivi contrasti fra Albanesi e Giovani Turchi condussero all’accelerazione del moto indipendentistico, concretizzatosi all’indomani della guerra italo-turca del 1911, che proiettò l’Albania - "la prima a cogliere il rapido mutamento internazionale" (p. 18) - nel panorama degli equilibri europei grazie alle forti iniziative di Ismail Qemali (proclamazione dell’indipendenza: 28 novembre 1912). Da questa data la diplomazia albanese con incisività fa il suo ingresso sullo Scenario.
Il preoccupante isolamento albanese nella Penisola balcanica – dove Francia, Gran Bretagna e Russia tutelavano gli interessi di Belgrado ed Atene, mentre l’alleanza "filoalbanese" italo-austriaca stava costantemente sfaldandosi – avrebbe condotto rapidamente alla spartizione dei territori all’altezza del fiume Shkumbini, se non fosse stato per l’energia mostrata dal ministro degli esteri italiano, il pisano Sidney Sonnino, che fece occupare Vlorë da unità dell’esercito (29 dicembre 1914), e bloccò l’avanzata da sud dei Greci, e poi da nord di Serbi e Austriaci (1917). Da questo momento Eichberg dimostra chiaramente come l’Italia, da sola, abbia preservato l’indipendenza albanese contro pesanti ingerenze contemporanee di più Stati.
L’opera, basandosi essenzialmente su documenti (molti, fino a ieri, inediti), e avvalendosi di ben 324 note, può continuare a leggersi come "storia", ma ad un più attento esame Eichberg ci rivela non solo i fatti, bensì ci offre una perfetta chiave di lettura sulla progressiva evoluzione e successivo affinamento della diplomazia albanese, che continuò – sia pure cautamente – ad operare anche durante la presenza italiana e tedesca, per poi affermarsi dal ’45 in là.
Per anni siamo stati costretti a credere che i governi albanesi ’39-44 (1) siano stati semplici fantocci di Roma prima, e di Berlino dopo. Ma qui Eichberg dimostra di essere storico coraggioso e ricercatore capillare di ogni sfaccettatura della realtà.
Apprendiamo di un gabinetto Verlaçi, nel quale le confessioni cattolica, islamica ed ortodossa erano rappresentate; il rispetto dell’Italia nei confronti degli Albanesi e del trono di Skënderbeu ("Capitolo II"); le preoccupazioni degli esecutivi schipetari sulle sorti dell’Albania etnica, sentite profondamente dall’Italia; le imprese eroiche del battaglione albanese Tomori, condotto dal leggendario comandante Spiro Moisiu, che poi diventerà Capo di Stato Maggiore dell’Esercito di Liberazione Nazionale; il problema della Kosova, annessa alla Madre Patria grazie maggiormente all’apporto dei Tedeschi (cui gli Albanesi hanno sempre manifestato grande simpatia, cordialmente ricambiata anche nel periodo ’45-87); l’anima popolare del governo Kruja; la politica delle autonomie locali pensata dall’Italia nel 1942; l’"italofobia" diplomatica degli uomini politici albanesi, quando si resero conto della debolezza militare di Roma e di una probabile sconfitta dell’Asse ("Capitolo III").
Se pur gli esecutivi di Tirana nel periodo italiano mantenessero perlomeno una certa dignità formale-soggettiva, apparentemente stupisce come la tradizionale temerarietà albanese si esprimesse ad un considerevole profilo diplomatico addirittura nel tempo di occupazione germanica. Eichberg ci illustra una richiesta di compartecipazione del premier Mehdi Frashëri indirizzata alla Commissione Alleata di Controllo per l’Italia (ACC): impensabile immaginare egual cosa in un qualsiasi altro Paese posto sotto il tallone di Wermacht ed SS. V’è però da sottolineare l’eccezionale stima con cui i Tedeschi tenevano gli Schipetari, considerati "razza ariana del ceppo illirico" (p. 122), mentre l’Albania "richiedeva uno speciale trattamento politico e pertanto doveva conoscere cure e premure di una politica di alto livello che andava ben al di là dell’importanza altrimenti relativa al paese" (pp. 122-3).
Altro punto approfondito dall’Autore è il fondamentale rapporto che legava l’emergere del movimento comunista e le assicurazioni dell’Unione Sovietica "a garantire che i confini dell’Albania sarebbero stati quelli del 1913" (pp. 110; atteggiamento che Tirana ha sempre sostenuto nel non infiammare mai il problema della Kosova). Di conseguenza intravvediamo le due anime politiche albanesi non soltanto confrontarsi militarmente, ma assicurare in tutte le maniere, e vicendevolmente, con l’ausilio dei loro alleati e delle loro sanguinose lotte politiche la garanzia della sopravvivenza statale.
A distanza di oltre mezzo secolo è fin troppo evidente quanto pericoloso possa essere stato per gli Albanesi optare per il campo occidentale (le promesse spartitorie di Londra ad Atene: vedi le dichiarazioni dell’ambasciatore italiano a Mosca, Pietro Quaroni, al Presidente del Consiglio Alcide de Gasperi, pp. 133-4) o affidarsi alla pericolosa sfera d’influenza jugoslava. Per questo Eichberg non cade nell’equivoco di esaltare i meriti della liberazione grazie a presunti e fantomatici contributi di Belgrado, ma indica nella sola diplomazia albanese l’artefice della propria reale autonomia. Ovvero Enver Hoxha, da subito, iniziò ad usare il comunismo e l’URSS per garantire l’indipendenza albanese, percependo i latenti contrasti fra Tito e Stalin che sarebbero esplosi nel 1948. Lo stesso atteggiamento flessibile e conciliatorio nei confronti dell’Italia (accordi Hoxha-Palermo: 14 marzo 1945, e "‘riconoscimento’ de facto del governo albanese" da parte di Roma - pp. 127-34), oltre ai successi personali ottenuti dal brillante leader albanese nel corso della Conferenza di Parigi del 1946 (pp. 141-7).
In conclusione l’Autore ci offre una ricerca preziosissima, dalla quale non sarà possibile prescindere in futuro nello sforzo di ricostruzione delle vicende italo-albanesi ’39-45. Anche da un esame sommario, si nota come l’importanza del libro scaturisca proprio dal fatto che l’operazione di fusione degli avvenimenti è notevole, poiché il libro, grazie anche ad adeguate ed azzeccate suddivisioni epocali (evitando il freddo dettato cronologico) riesce a sottolineare con scorrevolezza ed efficacia il carattere di necessità che ha posto le basi prima alla situazione di dipendenza, e successivamente al riscatto nazionale.

Federico Eichberg, Il fascio littorio e l’aquila di Skanderbeg. Italia e Albania 1939-1945, Roma, Editrice Apes, 1997, pp. 156, lit. 20.000
 

Nota

(1) I primi ministri albanesi nel periodo 1939-1944 (dal libro di F. Eichberg, passim)
nome
investitura
inizio
fine
note
Xhafer Ypi Luogotenenza Generale italiana in Albania
08/04/1939
12/04/1939
dimessosi
Shefqet Verlaçi Luogotenenza Generale italiana in Albania
12/04/1939
10/11/1941
dimessosi
Mustafa Merlika Kruja  Luogotenenza Generale italiana in Albania
10/11/1941
13/01/1943
dimessosi
Eqrem Libohova (I) Luogotenenza Generale italiana in Albania
13/01/1943
12/02/1943
dimessosi
Maliq Bushati  Luogotenenza Generale italiana in Albania
12/02/1943
28/04/1943 
dimessosi
Eqrem Libohova (II) Luogotenenza Generale italiana in Albania
28/04/1943
15/09/1943
dimessosi
Mehdi Frashëri  Reggenza Albanese 
(controllata dall'Auswartiges Amt tedesco)
15/09/1943
28/11/1944
abbattuto dai partigiani

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