Giovanni Armillotta
SU UN LIBRO "ALBANESE" DI FEDERICO EICHBERG
C’è una ragione del perché alcuni autorevoli albanologi
italiani, di livello internazionale (Federico Eichberg, Emmanuela del Re, Alessandro
Sfrecola, il sottoscritto, ecc.) oggi oscillino fra i trenta ed i quarant’anni,
a dimostrazione non solo della loro eccelsa preparazione ed onestà intellettuale,
bensì della crisi in cui si sono dibattuti gli storici di antico stampo,
troppo condizionati nelle vesti debitorie di "consiglieri del Principe".
Oggi il problema della diffusione di opere sulla storia
albanese diviene sempre più urgente nel panorama internazionale,
mentre si accrescono e vengono a galla le lacune e i luoghi comuni di coloro
che pretendevano di scarabocchiare qualche pagina di autorevole quotidiano
che attribuisse loro la fama di "esperti". Infatti nell’ultimo quarto di
secolo non si è mai letto un grande storico italiano (salvo illustri
studiosi di diritto internazionale) imporsi all’attenzione mondiale in
qualità di albanologi, nemmeno su argomenti strettamente collegati
alla storia patria come, ad esempio, le relazioni italo-albanesi fra il
1939 ed il 1945 ed altri temi, c’era molta paura…
Al contrario – in specie negli anni 70-80 – capitava
d’imbattersi in tediose apologie del regime titista, il cui unico scopo
era quello di distrarre l’attenzione del lettore dalla repressione scatenantesi
nella Kosova in nome dell’indipendenza jugoslava, minacciata dagli Albanesi
che agivano "in nome e per conto della loro ‘stalinista’ madre patria".
Ciò voleva offrire un’immagine in chiave storica di quel decantato
paradiso federale ch’era la Jugoslavia monarchica prima, e comunista dopo:
impostazione non solo prediletta da determinate correnti dell'estrema sinistra
parlamentare italiana, ma anche cara a parte degli storici "silenziosi"
italiani, rientranti nell’orbita politica o timorosi d’infrangere le mode
storiografiche del tempo.
Il prodotto di tutto questo è che ci si rende
conto che in Italia alcuni testi recenti riguardanti l’Albania sono stati
scritti con estrema superficialità sull’ondata emotiva provocata
dai gravi fatti di inizio ’97; articoli e libri redatti sul metodo "sputa
sull’Albania e scrivi un libro", nell’ottica di far soldi a spese dello
sprovveduto lettore desideroso d’informarsi in cinque minuti: qualcosa
di talmente infimo, da lasciarci fra sdegno ed irritazione.
Il libro di Eichberg, invece, rappresenta un esempio
di come demistificare tali stantii residui storiografici, ovvero il superamento
dei sorpassati sistemi di scrivere attraverso l’ideologia, che altrove
impedivano e impediscono un approccio allo studio della realtà storica
non generico né elusivo dei problemi.
La scelta programmaticamente albanocentrica dell’opera
consente ad Eichberg di accentrare la sua attenzione sulle vicende politiche
interne albanesi, partendo dal principio di ricostruire la storia dalle
fonti d’archivio italiane e dalla pubblicistica albanese del periodo hoxhano
(tabù a lungo persistente).
Nella sintetica introduzione ("Premessa" e "Capitolo
I") Eichberg, ricordando i tentativi di spartizione greco-serbi, cita la
Lega di Prizren del 10 giugno 1878 come inizio della spinta da un lato
autonomistica e dall’altro tradizionalmente filo-turca, in modo da preservare
l’Albania pure dalle mire montenegrine e bulgare. I successivi contrasti
fra Albanesi e Giovani Turchi condussero all’accelerazione del moto indipendentistico,
concretizzatosi all’indomani della guerra italo-turca del 1911, che proiettò
l’Albania - "la prima a cogliere il rapido mutamento internazionale" (p.
18) - nel panorama degli equilibri europei grazie alle forti iniziative
di Ismail Qemali (proclamazione dell’indipendenza: 28 novembre 1912). Da
questa data la diplomazia albanese con incisività fa il suo ingresso
sullo Scenario.
Il preoccupante isolamento albanese nella Penisola balcanica
– dove Francia, Gran Bretagna e Russia tutelavano gli interessi di Belgrado
ed Atene, mentre l’alleanza "filoalbanese" italo-austriaca stava costantemente
sfaldandosi – avrebbe condotto rapidamente alla spartizione dei territori
all’altezza del fiume Shkumbini, se non fosse stato per l’energia mostrata
dal ministro degli esteri italiano, il pisano Sidney Sonnino, che fece
occupare Vlorë da unità dell’esercito (29 dicembre 1914), e
bloccò l’avanzata da sud dei Greci, e poi da nord di Serbi e Austriaci
(1917). Da questo momento Eichberg dimostra chiaramente come l’Italia,
da sola, abbia preservato l’indipendenza albanese contro pesanti ingerenze
contemporanee di più Stati.
L’opera, basandosi essenzialmente su documenti (molti,
fino a ieri, inediti), e avvalendosi di ben 324 note, può continuare
a leggersi come "storia", ma ad un più attento esame Eichberg ci
rivela non solo i fatti, bensì ci offre una perfetta chiave di lettura
sulla progressiva evoluzione e successivo affinamento della diplomazia
albanese, che continuò – sia pure cautamente – ad operare anche
durante la presenza italiana e tedesca, per poi affermarsi dal ’45 in là.
Per anni siamo stati costretti a credere che i governi
albanesi ’39-44 (1)
siano stati semplici fantocci di Roma prima, e di Berlino dopo. Ma qui
Eichberg dimostra di essere storico coraggioso e ricercatore capillare
di ogni sfaccettatura della realtà.
Apprendiamo di un gabinetto Verlaçi, nel quale
le confessioni cattolica, islamica ed ortodossa erano rappresentate; il
rispetto dell’Italia nei confronti degli Albanesi e del trono di Skënderbeu
("Capitolo II"); le preoccupazioni degli esecutivi schipetari sulle sorti
dell’Albania etnica, sentite profondamente dall’Italia; le imprese eroiche
del battaglione albanese Tomori, condotto dal leggendario comandante
Spiro Moisiu, che poi diventerà Capo di Stato Maggiore dell’Esercito
di Liberazione Nazionale; il problema della Kosova, annessa alla Madre
Patria grazie maggiormente all’apporto dei Tedeschi (cui gli Albanesi hanno
sempre manifestato grande simpatia, cordialmente ricambiata anche nel periodo
’45-87); l’anima popolare del governo Kruja; la politica delle autonomie
locali pensata dall’Italia nel 1942; l’"italofobia" diplomatica degli uomini
politici albanesi, quando si resero conto della debolezza militare di Roma
e di una probabile sconfitta dell’Asse ("Capitolo III").
Se pur gli esecutivi di Tirana nel periodo italiano
mantenessero perlomeno una certa dignità formale-soggettiva, apparentemente
stupisce come la tradizionale temerarietà albanese si esprimesse
ad un considerevole profilo diplomatico addirittura nel tempo di occupazione
germanica. Eichberg ci illustra una richiesta di compartecipazione del
premier Mehdi Frashëri indirizzata alla Commissione Alleata di Controllo
per l’Italia (ACC): impensabile immaginare egual cosa in un qualsiasi
altro Paese posto sotto il tallone di Wermacht ed SS. V’è
però da sottolineare l’eccezionale stima con cui i Tedeschi tenevano
gli Schipetari, considerati "razza ariana del ceppo illirico" (p. 122),
mentre l’Albania "richiedeva uno speciale trattamento politico e pertanto
doveva conoscere cure e premure di una politica di alto livello che andava
ben al di là dell’importanza altrimenti relativa al paese" (pp.
122-3).
Altro punto approfondito dall’Autore è il fondamentale
rapporto che legava l’emergere del movimento comunista e le assicurazioni
dell’Unione Sovietica "a garantire che i confini dell’Albania sarebbero
stati quelli del 1913" (pp. 110; atteggiamento che Tirana ha sempre sostenuto
nel non infiammare mai il problema della Kosova). Di conseguenza intravvediamo
le due anime politiche albanesi non soltanto confrontarsi militarmente,
ma assicurare in tutte le maniere, e vicendevolmente, con l’ausilio dei
loro alleati e delle loro sanguinose lotte politiche la garanzia della
sopravvivenza statale.
A distanza di oltre mezzo secolo è fin troppo
evidente quanto pericoloso possa essere stato per gli Albanesi optare per
il campo occidentale (le promesse spartitorie di Londra ad Atene: vedi
le dichiarazioni dell’ambasciatore italiano a Mosca, Pietro Quaroni, al
Presidente del Consiglio Alcide de Gasperi, pp. 133-4) o affidarsi alla
pericolosa sfera d’influenza jugoslava. Per questo Eichberg non cade nell’equivoco
di esaltare i meriti della liberazione grazie a presunti e fantomatici
contributi di Belgrado, ma indica nella sola diplomazia albanese l’artefice
della propria reale autonomia. Ovvero Enver Hoxha, da subito, iniziò
ad usare il comunismo e l’URSS per garantire l’indipendenza albanese, percependo
i latenti contrasti fra Tito e Stalin che sarebbero esplosi nel 1948. Lo
stesso atteggiamento flessibile e conciliatorio nei confronti dell’Italia
(accordi Hoxha-Palermo: 14 marzo 1945, e "‘riconoscimento’ de facto
del governo albanese" da parte di Roma - pp. 127-34), oltre ai successi
personali ottenuti dal brillante leader albanese nel corso della Conferenza
di Parigi del 1946 (pp. 141-7).
In conclusione l’Autore ci offre una ricerca preziosissima,
dalla quale non sarà possibile prescindere in futuro nello sforzo
di ricostruzione delle vicende italo-albanesi ’39-45. Anche da un esame
sommario, si nota come l’importanza del libro scaturisca proprio dal fatto
che l’operazione di fusione degli avvenimenti è notevole, poiché
il libro, grazie anche ad adeguate ed azzeccate suddivisioni epocali (evitando
il freddo dettato cronologico) riesce a sottolineare con scorrevolezza
ed efficacia il carattere di necessità che ha posto le basi prima
alla situazione di dipendenza, e successivamente al riscatto nazionale.
Federico Eichberg, Il fascio littorio e l’aquila di Skanderbeg. Italia
e Albania 1939-1945, Roma, Editrice Apes, 1997, pp. 156, lit. 20.000
Nota
(1) I primi ministri albanesi nel periodo 1939-1944 (dal libro di F. Eichberg, passim)
|
|
|
|
|
|
1° | Xhafer Ypi | Luogotenenza Generale italiana in Albania |
|
|
dimessosi |
2° | Shefqet Verlaçi | Luogotenenza Generale italiana in Albania |
|
|
dimessosi |
3° | Mustafa Merlika Kruja | Luogotenenza Generale italiana in Albania |
|
|
dimessosi |
4° | Eqrem Libohova (I) | Luogotenenza Generale italiana in Albania |
|
|
dimessosi |
5° | Maliq Bushati | Luogotenenza Generale italiana in Albania |
|
|
dimessosi |
6° | Eqrem Libohova (II) | Luogotenenza Generale italiana in Albania |
|
|
dimessosi |
7° | Mehdi Frashëri | Reggenza Albanese
(controllata dall'Auswartiges Amt tedesco) |
|
|
abbattuto dai partigiani |