Nel momento in cui presentai la mia candidatura a presidente
della Associazione degli Africanisti italiani dichiarai che avevo per scopo
non soltanto l’aumento dei nostri insegnamenti nelle università
italiane, ma anche la pubblicazione di un bollettino della associazione
stessa, che rendesse conto di quanto i soci fanno. Debbo confessare che
mi sento colpevole, sia per il primo aspetto che per il secondo.
Per quanto riguarda l’aumento degli insegnamenti c’è
stato il timore di alcuni soci a chiedere o far chiedere dalle rispettive
facoltà concorsi a cattedra di prima e di seconda fascia; infatti
abbiamo avuto nuovi posti di professore associato a Pisa, Padova, Catania,
Napoli IUO e un solo posto di professore ordinario a Palermo: mentre è
d’uopo esprimere rallegramenti ai vincitori, è anche doveroso ricordare
che vi erano e vi sono legittime aspettative che non sono state soddisfatte
proprio perché non sono stati chiesti posti; mi auguro che in futuro
coloro che hanno partecipato ai concorsi, e altri che hanno manifestato
il desiderio di concorrere, pur non avendo presentato domanda, vogliano
rafforzare la propria candidatura chiedendo posti nelle proprie facoltà
o attivando i membri della associazione perché si facciano promotori
di congrue richieste in altre facoltà.
Per quanto riguarda la pubblicazione del bollettino ho
dovuto fare i conti con i limitati mezzi della associazione; non a caso
il direttivo ha deciso di pubblicare i nomi dei soci in regola con il versamento
della quota sociale, il cui importo deve ritenersi più simbolico
che sostanziale: le nostre risorse sono modeste e l’attesa di sponsors
si è rivelata deludente. Senza la cordiale e amichevole comprensione
della ETS e della Cassa di Risparmio di Pisa - a entrambe si rinnova un
sentito grazie - non sarebbe stato possibile uscire.
Detto questo debbo inoltre significare perché
ho deciso di uscire.
Prima di tutto penso che un’associazione di studiosi
debba in qualche modo manifestarsi al pubblico e un bollettino, una pubblicazione
periodica, sono il mezzo migliore; parecchi dei soci fanno parte anche
dell’Istituto italoafricano, grazie al quale hanno la possibilità
di dare alle stampe propri lavori che, però, debbono sottostare
alle esigenze redazionali e all’indirizzo della rivista, qualunque esso
sia. Io credo invece che l’organo di una associazione tanto composita,
variegata come la nostra, non debba stabilire né programma editoriale
né indirizzo culturale-scientifico: i soci sono stimati professionisti,
professori universitari, ricercatori, dottori di ricerca, e così
via, vale a dire persone che hanno acquisito sufficiente maturità
per esprimere liberamente e responsabilmente il loro pensiero: chi vuole
potrà scrivere e i lavori verranno pubblicati in ordine alfabetico.
Inizialmente avevo pensato di riproporre il nome di «Bollettino
della Associazione degli Africanisti italiani», per ridare vita
alla iniziativa del compianto professor Carlo Giglio, fondatore della associazione;
ultimamente ho deciso di adottare il nome di «Africana»,
perché ormai di amici, allievi, conoscenti, estimatori di Giglio
siamo rimasti in pochi; poi perché potrebbero esistere diritti sulla
testata e, infine, perché quel bollettino aveva un indirizzo e non
voglio né imporne né averne. La voce di tutti i soci dovrebbe
apparire di quando in quando a testimonianza di vitalità, di produttività,
della realizzazione di varie attività e iniziative, scientifiche,
culturali, organizzative, divulgative.
Non è stabilita periodicità fissa, anche
se mi auguro che possiamo uscire ogni anno; ciò dipenderà
dalle quote e dall’arrivo dei soci; stavolta ne sono giunti parecchi, tanto
da superare le aspettative e soprattutto i sedicesimi che l’editore aveva
offerto praticamente in omaggio.
[...]
Debbo, infine, segnalare gli ottimi rapporti con le associazioni
europee di africanisti e con alcune latinoamericane; frutto di questa rinnovata
attività è stata l’elezione di Bernardo Bernardi a presidente
del Conseil Européen des Études Africaines.