Bibl.: «L’Osservatore Romano», Martedì-Mercoledì 17-18 Aprile 2001

Antonio Chilà
«Africana»: il periodico dell'Associazione di Studi Extraeuropei
UNA PUBBLICAZIONE CHE FA LUCE SULLE «TERRÆ INCOGNITÆ»

Esistono ancora le cosiddette «terræ incognitæ»? Esistono ancora quelle «terræ» non geograficamente sconosciute bensì quelle che posseggono cultura e struttura politica «incognitæ»?
Nel mondo, anche se potrebbe sembrare assurdo, c'è ne sono parecchie.
Le prime sono tutte quelle regioni ove si combatte, a torto o a ragione, per molteplici cause. Esse, per un lungo o breve periodo di tempo, sono tagliate fuori non solo dal contesto nazionale ma anche dal resto del mondo.
Le seconde interessano le enormi aree periferiche delle megalopoli organizzate in maniera autonoma dal potere centrale, quasi in forma anarchica, spesso in stretta connessione con organizzazioni criminali.
Le terze comprendono territori, più o meno vasti, controllati dal narcotraffico, dalle ecomafie, da bande dedite allo sfruttamento minorile, alla prostituzione, al traffico di esseri umani e a numerose altre attività illecite.
Le quarte abbracciano quei popoli o quelle etnie che, per assurde motivazioni ideologiche, religiose, politiche, sono perseguitati, offesi ed umiliati.
«Terræ incognitæ» ignorate dai mass-media e prese in considerazione soltanto quando scoppiano eventi luttuosi di portata nazionale o internazionale. «Terræ incognitæ» destinate ad aumentare dal 1989, anno caratterizzato dalla morte delle ideologie.
Ma quale rapporto, ammesso che possa esistere, c'è tra «terræ incognitæ» e mondo industrializzato? Come comprendere i mutamenti? Come affrontare le conseguenze scaturite dai profondi sconvolgimenti verificatisi negli ultimi undici anni? Come riassorbire queste «terræ» nell'ambito legale e democratico? Innanzitutto bisogna conoscerle.
La geopolitica e la geostrategia ci aiutano a capire gli sconvolgimenti degli ultimi 12 anni. Si pensi che nel 1945 gli Stati esistenti erano 52; nel 1989 ammontavano a 220 e, nel triennio 1989-’91, raggiungevano il numero di 240 per il crollo dell'Unione Sovietica e per le divisioni nell'area balcanica. Sulle sponde occidentali giungevano e continuano a giungere popoli conosciuti prima solo per nome. Abbiamo assistito a vere e proprie migrazioni di massa da una Nazione all'altra.
Oggi, il non vasto panorama editoriale di geopolitica e di geostrategia, tenta di aiutarci a comprendere le cause e gli effetti dei cambiamenti, spiegandoci la storia dei popoli, le diversità culturali, politiche e sociali e le inflazioni di frontiere accresciute con i crolli, avvenuti a distanza di tempo, del colonialismo e del Muro di Berlino.
In questo settore editoriale, un posto particolare l'occupa la rivista «Africana». È un periodico annuale dell'Associazione di Studi Extraeuropei (Ase), pubblicato dall'Edistudio di Pisa, destinato ad incentivare gli studi e le ricerche sui problemi politici, economici e sociali dell'Africa, dell'America Latina, dell'Asia e degli Stati del Pacifico.
Ogni numero di «Africana», normalmente non supera le 200 pagine, ospita veri e propri studi, più che articoli, sulle problematiche riguardanti i Paesi dei Continenti citati. Gli autori analizzano determinati aspetti di un avvenimento ignorato dai quotidiani perché manca lo spazio, o perché, come si dice in gergo, «non fa più notizia», o perché superato da altri avvenimenti più importanti.
Lo scopo principale della rivista, della quale si auspicherebbe la pubblicazione quadrimestrale, è diffondere la storia di popoli ignorati anche dalla cultura universitaria; di spiegare i fenomeni politici del mondo contemporaneo; di liberare docenti, discenti e lettori da visioni strettamente eurocentriche nell'epoca del cosiddetto «villaggio globale»; di comunicare i processi storici delle relazioni internazionali per conoscere meglio chi, pur trovandosi a migliaia di chilometri di distanza, è oggi considerato nostro vicino.
«
Africana» è il tassello ultimo e fondamentale per capire il grande mosaico della Storia delle Relazioni Internazionali, disciplina che, chissà per quale strano motivo, non trova spazio nelle Facoltà universitarie, specie in quelle di Scienze politiche.
Sarebbe quanto mai opportuno rileggere, alla luce dei cambiamenti didattici, la proposta del professor Vittorio Antonio Salvadorini, ordinario di Storia ed Istituzioni dei Paesi afro-asiatici presso la Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Pisa e direttore di «Africana», sulla costituzione di una materia che «s'innesti sul tronco di storia delle relazioni internazionali ma dedicata prevalentemente ai problemi dei Paesi extraeuropei, sia nei loro rapporti reciproci, sia nei rapporti con l'Europa, Stati Uniti, Canada e Giappone senza trascurare gli aspetti fondamentali dei loro ordinamenti interni».
La rivista offre un valido aiuto per coloro che desiderano studiare ed approfondire la geopolitica e comprendere, attraverso la spiegazione del passato, i mutamenti o gli sconvolgimenti verificatisi nel mondo. È il caso (cfr il numero dell'anno 1999) dello studio di Giovanni Armillotta, redattore capo della rivista, sui Movimenti di liberazione angolani. Dal XIX secolo alla guerra civile sino agli ultimissimi sviluppi di fine 1999. In esso, Armillotta analizza le cause che hanno portato il martoriato Paese africano alla guerra civile scoppiata subito dopo l'indipendenza, concessa dal Portogallo l'11 novembre 1975, tra gli aderenti al Movimento Popolare per la Liberazione dell'Angola (Mpla) e i guerriglieri dell'Unione Nazionale per l'Indipendenza Totale dell'Angola (Unita) guidati da Jonas Savimbi.
«Africana» presenta etnie sconosciute al grande pubblico (vedi i Giriama del Kenya) o il loro pluralismo culturale (scritto di Roza Ismagilova, direttore del Dipartimento di studi etnico-culturali presso l'Istituto di Studi Africani dell'Accademia Russa delle Scienze).
Un accenno a parte meritano le 83 pagine dedicate alla Cambogia (numero dell'anno 2000). La tragedia del Paese del Sud-Est Asiatico, conosciuta in parte dalle notizie pubblicate dai quotidiani occidentali, e, purtroppo, oggi tristemente nota come «genocidio cambogiano», si comprese in tutta la sua drammaticità anche con la pubblicazione del libro Il racconto di Peuw, bambina cambogiana – presentazione di Natalia Ginzburg , edito da Einaudi, collana Gli struzzi, pagg. 353, L. 14.000 – che oggi abita in Francia e porta il nome datole dai genitori adottivi, Molyda Szymusiak.
Una parte dello studio, pubblicato dalla rivista, comprende la testimonianza, Tre anni con i Khmer rossi, dell'allora Ambasciatore di Albania, Dhimitër Thimi Stamo, a Phnom Penh; l'altra, scritta da Giovanni Armillotta, è dedicata agli anni 1970-1979, periodo compreso tra il colpo di Stato di Lon Nol e il cosiddetto periodo "Cambogia democratica".
Infine, tra i tanti studi pubblicati, citiamo quello di Claudio Moffa su Gessi, Gordon e Comboni alla vigilia della campagna antischiavista del Bahar El-Ghazal: due lettere inedite del missionario italiano alla Società Geografica Italiana. Le missive del Vescovo, morto a Khartoum il 10 ottobre 1881, apportano ulteriori conoscenze sul mondo colonialista nel Sudan durante gli anni precedenti la rivolta di Mohammed Ahmed, detto il Mahdi, cioè l'inviato divino incaricato di restaurare l'Islam tramite la guerra santa. Purtroppo, il periodico non è venduto in edicola, ma tutti possono o abbonarsi o collegarsi al sito http://www.giovanniarmillotta.it/africana per conoscere gli argomenti trattati da «Africana». All'Associazione di Studi Extraeuropei, come recita l'art. 3 dello Statuto, possono aderire i «docenti di ruolo e i ricercatori di discipline extraeuropee nelle Università; i cultori di tali studi, ammessi dal consiglio direttivo, su sua proposta o su loro domanda». Il Consiglio Scientifico del periodico annovera docenti delle Università di Algeri, Cagliari, Lisbona, Londra, Madrid (Complutense), Palermo, Parigi (La Sorbonne), Pisa, Rabat, Roma, Siena, Trieste, Tunisi.

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